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martedì 29 settembre 2015
"Le tue parole" un film povero
domenica 27 settembre 2015
Il sentiero
Sul sentiero eri bella,
non ti voltavi,
non vidi il tuo volto e la nebbia lo celava quella sera.
Uscii stanco e sentivo l'aratro scavarmi.
Guardai nel mio cuore, vi era accoccolato un bimbo.
Uscii stanco e sentivo la mano del padrone.
Sul sentiero strascicavi il tuo mantello.
Vedevi al tramonto il sole perdersi.
Accrescevi i tuoi movimenti trasgressivi.
Bocciato fu il mio richiamo. ...
E come pungevano i rovi del sentiero.
Gemella del sole, io correvo ma tu mi precedevi nel mio cammino.
Restai con il bacio del bimbo che dal cuore mi donava.
Seduto, allora, immobile sullo sporco legno, tu ti voltasti.
Roccia!
Che dispetto, era il mio ritratto.
Era lungo il suo mantello ed il bambino nel mio cuore rideva dallo stento.
Il contatto fu gelato dai colori.
Avevi nel volto un dispetto.
Mordevi l'anima nostra,
ed io dal piacere picchiavo il bambino nel mio cuore.
Ridevi ed il mio ritratto scomparve.
Piangeva il bambino ed il tuo mantello rigato di linfa seguiva il cammino del canto.
Baciami, ti prego bimbo.
E dal cuore: "Sono aspre dizioni della grande conquista"
Stefano Terraglia
non vidi il tuo volto e la nebbia lo celava quella sera.
Uscii stanco e sentivo l'aratro scavarmi.
Guardai nel mio cuore, vi era accoccolato un bimbo.
Uscii stanco e sentivo la mano del padrone.
Sul sentiero strascicavi il tuo mantello.
Vedevi al tramonto il sole perdersi.
Accrescevi i tuoi movimenti trasgressivi.
Bocciato fu il mio richiamo. ...
E come pungevano i rovi del sentiero.
Gemella del sole, io correvo ma tu mi precedevi nel mio cammino.
Restai con il bacio del bimbo che dal cuore mi donava.
Seduto, allora, immobile sullo sporco legno, tu ti voltasti.
Roccia!
Che dispetto, era il mio ritratto.
Era lungo il suo mantello ed il bambino nel mio cuore rideva dallo stento.
Il contatto fu gelato dai colori.
Avevi nel volto un dispetto.
Mordevi l'anima nostra,
ed io dal piacere picchiavo il bambino nel mio cuore.
Ridevi ed il mio ritratto scomparve.
Piangeva il bambino ed il tuo mantello rigato di linfa seguiva il cammino del canto.
Baciami, ti prego bimbo.
E dal cuore: "Sono aspre dizioni della grande conquista"
Stefano Terraglia
Interpretazione in video
venerdì 25 settembre 2015
Il doppiatore del lupo buono
Renato si avvió verso il piccolo bar che per anni lo aveva servito nella notte, era l'unico bar che rimaneva aperto fino alle due del mattino, dove una ragazza oramai sposa con due figli gli preparava il cappuccino di fine lavoro. Renato lavorava di fronte, come libero professionista, da anni prestava la sua voce ai cartoni animati, la sua voce dalle mille sfaccettature, ora grossa e prepotente del lupo cattivo, ora dolce e sensibile del lupo buono. Migliaia di metri di pellicola doppiati con la sua voce insieme con altri colleghi. La sua caratteristica peró era quella degli effetti sonori; fischi, sibili, espressioni, urli, era uno specialista in questo, con la sua folta barba grigia e la sua fronte spaziosa, con gli occhi di un bimbo mai cresciuto con i modi di un galantuomo.
Quella notte non era felice, non si trattenne come il solito a parlare con la donna del bar, anzi non finí neanche il cappuccino. Renato si avvió verso casa, finiva sempre di lavorare tardi, ma era piú stanco del solito, anche perchè le delusioni stancano molto di piú, ti lasciano le braccia e le gambe piú pesanti del solito. Aveva terminato con quella sera l'ultima data prevista dal contratto con quello studio, con quella societá che lo aveva campato per oltre venticinque anni. Avrebbe voluto lavorare ancora un po', anche perchè aveva sempre prestato la sua voce con passione e dedizione con un amore sviscerato per quel mestiere, dimostrando un'eccepibile serietá e bravura. Non poteva piú lavorare e avrebbe dovuto rimettersi in vendita sulla piazza da solo, forse era anche troppo giovane, cinquantatrè anni, d'altronde non sapeva fare altro.
Era appena arrivato a casa, si tolse la giacca e si rilassó di schianto sul divano, ma non potette fare a meno di dare di nuovo un occhiata a quella lettera che un assistente di studio gli aveva consegnato prima della fine della seduta di registrazione, una lettera da parte della societá:
Gent.mo Signor Renato Urbani,
In relazione agli ultimi accordi aziendali relativi all'acquisto di nuovo materiale tecnico per la post-produzione, abbiamo provveduto all'acquisto di un sistema computerizzato per la sonorizzazione del materiale girato. Tale sistema prevede un fornitissimo archivio di campioni sonori utili per la gestione degli effetti dei cartoni animati.
Questo sistema elettronico andrá a sostituire il lavoro, da noi giudicato dispendioso, che era effettuato in fase di doppiaggio dal doppiatore e dal rumorista.
In seguito a questo abbiamo dovuto rivedere alcuni contratti stipulati con i doppiatori, ed abbiamo ritenuto poco convenevole una nuova stipulazione.
Con profondo dispiacere siamo costretti a dover interrompere il rinnovo del suo contratto provvedendo al piú presto alla liquidazione delle competenze previste.
La ringraziamo per il suo rapporto continuo che ha avuto con questa societá, con la promessa di prendere in considerazione la sua ottima professionalitá per eventuali nostre iniziative prossime.
La mattina dopo, sul divano, fu raggiunto dal suo bambino, cinque anni, avuto tardi da una moglie bellissima. Il bimbo lo guardó con gli occhi supplichevoli:
-Papá, raccontami la favola del lupo buono-
Renato sorrise, gli occhi gli s'illuminarono, si alzó, e cominció a recitare talmente bene che il bimbo decise di rinnovargli il suo piccolo contratto d'amore.
mercoledì 23 settembre 2015
Prendiamo le distanze dal tempo
Ogni giorno quando il sole sorge e ci rinnova scopriamo che per tutti gli anni stanno passando e di una sola cosa siamo certi: di esserci. Insieme a noi gira tutto un mondo fatto di ipocrisie, libertà violate, abusi e chiacchiere. La felicità di ognuno di noi è la felicità di tutti, ma la felicità stenta ad arrivare quando si inseguono ricette di vita. Noi stentiamo a capire che la felicità la si trova sotto una pietra o nel sentiero di un bosco, respirando semplicemente ogni giorno che viene. Non occorre illudersi di essere eletti perché la pur minima elezione non porta altro che a scoprire che siamo soltanto al primo piano di un grattacielo infinito. Non viviamo per gli altri, ma rimaniamo ben disposti verso di loro in una condivisione o discussione di idee. Lasciamo a noi stessi quel po' di segreto che non è altro che una riserva per quando gli altri non potranno essere più predisposti. Cerchiamo di essere contenti con noi stessi evitando di decidere quando e come accontentare chi ci sta vicino, ma lasciamo che sia il vicino a chiedere di essere
accontentato, l'importante è che questo vicino sia libero dalla maschera dell'ipocrisia. Rispettiamo chi lavora e non intralciamo mai lo spazio alla libertà di ognuno di guadagnarsi liberamente ed onestamente le proprie risorse per vivere tranquillamente in questo mondo. Rispettiamo chi crea e concretizza il piacere, chi ha la capacità di donare racconti ed idee su ogni tipo di supporto e nello stesso tempo prendiamo le distanze dal tempo.
lunedì 21 settembre 2015
Un campanello nella notte
Carlo aveva l'aspetto goffo, con le grosse spalle, occhiali da lettura e nel suo angolo dove per anni non aveva dato fastidio a nessuno continuava a rimanerci, imperterrito, alla conquista di chissà cosa. Circondato da libri e dalla sua lampada da tavolo che illuminava a malapena un quarto di quella vecchia scrivania, lì, per molti anni, aveva intriso d'inchiostro tutta quella carta che giaceva in fascicoli, nei numerosi cassetti la intorno.
Non era nessuno, o meglio, non era mai riuscito ad essere nessuno, eppure, nel suo essere niente, sognava le luci di un palcoscenico che non arrivava mai.
Adesso, senza neanche più quei capelli di donna che lo avvolgevano durante la notte.
Lei se n'era andata cinque anni fa insieme ad un tipo pieno di soldi. Carlo si era sempre rifiutato di conoscere quel tipo, di indagare in merito, era soltanto molto addolorato. Quel dolore lo percuoteva più che altro la notte, quando la luna filtrava i suoi tenui raggi attraverso le persiane di quella camera, quando sul cuscino, quella luce bluastra, non accarezzava più il bellissimo corpo di Jessica. Conquistò la sua venere dieci anni fa, tra le risate scettiche di quei quattro amici oramai dispersi, quando gli sussurravano che sarebbe durata poco, lei, incuteva battute interessate, sembrava un bocconcino di pane in mezzo ad una piazza di piccioni. La bella e la bestia, canticchiavano sulla soglia del bar, ma anche lui era scettico sin dall'inizio. Sarebbe stata una fantastica avventura, si diceva spesso tra se, quando la vedeva passeggiare, con quegli abiti succinti ed il visetto capriccioso. Sarebbe stata un'avventura degna di un bellissimo Re che ha incontrato la sua principessa, ma lui, non era né bellissimo, né tanto meno un Re.
Cercò il primo anno, però, di assomigliare ad un Re di periferia, armato di carta di credito, con un lavoro sicuro in una struttura pubblica, l'utilitaria appena lavata, con il profuma ambienti al cocco attaccato allo specchietto retrovisore interno. Le cene con lei in pizzeria, inebriate dal quel vin bianco alla spina, e poi, per finire, fuggire via veloci, incuranti dell'ora tarda, tra i cori di grilli, a finestrini aperti, nelle campagne vicine, a fare l'amore, e poi, la sua principessa tornava a casa.
La passione per lo scrivere, per il cinema e per la fotografia non stentarono ad esprimersi intorno a quel magnifico volto, e proprio di lei, conservava più di tremila scatti fotografici. Non era più tornata, affascinata forse dall'illusione di una vita più agiata, stretta da un corpo d'uomo abbronzato, curato, in una casa senza quell'odore stagnante di cipolla soffritta che rimaneva prigioniero di quelle giallognole mura con poche finestre. Dalle sue mura di casa, Carlo, era avvolto come da un mantello protettivo, sia d'inverno sia d'estate. Quel corpo un po' tozzo, con la sua testa sempre abbassata, il niente del niente, mimetizzato in quella società che lo ha mortificato quando tentò di presentare i suoi scritti a qualche concorso, ma di cosa scriveva, be', lui creava da sempre.
Creava di racconti, creava di soggetti, creava spesso per il cinema che mai aveva girato un metro di pellicola per lui, creava d'immagine attraverso un computer e si commuoveva quando finiva le sue opere ed aspettava, ebbene aspettava che lei tornasse, che tornasse per sempre da lui. Erano passati cinque anni, ma quando arrivava la notte lui non si dava pace, stringeva il cuscino tra i denti, si lasciava rotolare nel letto e ad ogni rumore d'auto che sopraggiungeva da fuori lui poi immaginava un possibile suono di campanello, il suo ritorno di notte: "Se la mia scelta sarà sbagliata tornerò a casa, lo farò di notte, così sarai sicuro che sono io, tu sceglierai se aprirmi o meno" così lei disse. Una notte, dopo essere stato per ore ed ore a scrivere, decise di andare a letto, e più tardi, mentre costruiva le sue illusioni prima di prendere sonno, la sua fervida immaginazione si materializzò e come per incanto, il campanello suonò in piena notte. Stentava a credere a quel suono ed era paralizzato da un ansia che gli faceva ballare il cuore in gola a limite della sopportazione. Lui in pigiama corse al citofono, e, balbettando, domandò, chi era, nessuno. Nessuna risposta. Ancora domandò chi era, e non ottenendo riposta, si precipitò verso l'ascensore per scendere giù nell'ingresso del palazzo forse dal citofono non era stato capito forse Jessica, era tornata, ma non rispondeva al citofono. Arrivato a piano terra si diresse velocemente ansimando verso il portone, nessuno. E fuori? Nessuno. Si guardò intorno, non voleva cedere a quell'improvvisa delusione così decise di cercare ancora di più, attraversò velocemente la strada intontito, accecato, si, accecato anche dai fari di una macchina che sopraggiungeva velocemente e che lo travolse. Erano le tre e trentacinque. Per un attimo sullo sfondo della strada vide chi aveva suonato nel cuore della notte, un gruppo di ragazzetti ubriachi, si divertivano a suonare alcuni campanelli per poi scappare, ma lui era per terra, mentre la vita gli sfuggiva per sempre di mano, in pigiama, vittima di una scorribanda tra le più ingenue, beffeggiato e condannato a morte da un gruppo di ragazzetti bontemponi. Mentre un uomo tentava di porgli soccorso, Carlo se n'andava per sempre, senza aver concluso un bel niente.
Lei arrivò mezz'ora più tardi.
Lei se n'era andata cinque anni fa insieme ad un tipo pieno di soldi. Carlo si era sempre rifiutato di conoscere quel tipo, di indagare in merito, era soltanto molto addolorato. Quel dolore lo percuoteva più che altro la notte, quando la luna filtrava i suoi tenui raggi attraverso le persiane di quella camera, quando sul cuscino, quella luce bluastra, non accarezzava più il bellissimo corpo di Jessica. Conquistò la sua venere dieci anni fa, tra le risate scettiche di quei quattro amici oramai dispersi, quando gli sussurravano che sarebbe durata poco, lei, incuteva battute interessate, sembrava un bocconcino di pane in mezzo ad una piazza di piccioni. La bella e la bestia, canticchiavano sulla soglia del bar, ma anche lui era scettico sin dall'inizio. Sarebbe stata una fantastica avventura, si diceva spesso tra se, quando la vedeva passeggiare, con quegli abiti succinti ed il visetto capriccioso. Sarebbe stata un'avventura degna di un bellissimo Re che ha incontrato la sua principessa, ma lui, non era né bellissimo, né tanto meno un Re.
Cercò il primo anno, però, di assomigliare ad un Re di periferia, armato di carta di credito, con un lavoro sicuro in una struttura pubblica, l'utilitaria appena lavata, con il profuma ambienti al cocco attaccato allo specchietto retrovisore interno. Le cene con lei in pizzeria, inebriate dal quel vin bianco alla spina, e poi, per finire, fuggire via veloci, incuranti dell'ora tarda, tra i cori di grilli, a finestrini aperti, nelle campagne vicine, a fare l'amore, e poi, la sua principessa tornava a casa.
La passione per lo scrivere, per il cinema e per la fotografia non stentarono ad esprimersi intorno a quel magnifico volto, e proprio di lei, conservava più di tremila scatti fotografici. Non era più tornata, affascinata forse dall'illusione di una vita più agiata, stretta da un corpo d'uomo abbronzato, curato, in una casa senza quell'odore stagnante di cipolla soffritta che rimaneva prigioniero di quelle giallognole mura con poche finestre. Dalle sue mura di casa, Carlo, era avvolto come da un mantello protettivo, sia d'inverno sia d'estate. Quel corpo un po' tozzo, con la sua testa sempre abbassata, il niente del niente, mimetizzato in quella società che lo ha mortificato quando tentò di presentare i suoi scritti a qualche concorso, ma di cosa scriveva, be', lui creava da sempre.
Creava di racconti, creava di soggetti, creava spesso per il cinema che mai aveva girato un metro di pellicola per lui, creava d'immagine attraverso un computer e si commuoveva quando finiva le sue opere ed aspettava, ebbene aspettava che lei tornasse, che tornasse per sempre da lui. Erano passati cinque anni, ma quando arrivava la notte lui non si dava pace, stringeva il cuscino tra i denti, si lasciava rotolare nel letto e ad ogni rumore d'auto che sopraggiungeva da fuori lui poi immaginava un possibile suono di campanello, il suo ritorno di notte: "Se la mia scelta sarà sbagliata tornerò a casa, lo farò di notte, così sarai sicuro che sono io, tu sceglierai se aprirmi o meno" così lei disse. Una notte, dopo essere stato per ore ed ore a scrivere, decise di andare a letto, e più tardi, mentre costruiva le sue illusioni prima di prendere sonno, la sua fervida immaginazione si materializzò e come per incanto, il campanello suonò in piena notte. Stentava a credere a quel suono ed era paralizzato da un ansia che gli faceva ballare il cuore in gola a limite della sopportazione. Lui in pigiama corse al citofono, e, balbettando, domandò, chi era, nessuno. Nessuna risposta. Ancora domandò chi era, e non ottenendo riposta, si precipitò verso l'ascensore per scendere giù nell'ingresso del palazzo forse dal citofono non era stato capito forse Jessica, era tornata, ma non rispondeva al citofono. Arrivato a piano terra si diresse velocemente ansimando verso il portone, nessuno. E fuori? Nessuno. Si guardò intorno, non voleva cedere a quell'improvvisa delusione così decise di cercare ancora di più, attraversò velocemente la strada intontito, accecato, si, accecato anche dai fari di una macchina che sopraggiungeva velocemente e che lo travolse. Erano le tre e trentacinque. Per un attimo sullo sfondo della strada vide chi aveva suonato nel cuore della notte, un gruppo di ragazzetti ubriachi, si divertivano a suonare alcuni campanelli per poi scappare, ma lui era per terra, mentre la vita gli sfuggiva per sempre di mano, in pigiama, vittima di una scorribanda tra le più ingenue, beffeggiato e condannato a morte da un gruppo di ragazzetti bontemponi. Mentre un uomo tentava di porgli soccorso, Carlo se n'andava per sempre, senza aver concluso un bel niente.
Lei arrivò mezz'ora più tardi.
sabato 19 settembre 2015
...e gli USA stanno a guardare
A volte ci sono cose che mi fanno pensare, osservando il mondo, guardandomi intorno, leggendo un po’ ovunque le notizie che riguardano le politiche estere dei paesi più industrializzati e traggo alcune conclusioni, forse un po' azzardate, ma credo sensate e di triste attualità.
Non riesco a capire il motivo per il quale gli Stati Uniti D'America non siano intervenuti più di tanto sul fenomeno dei migranti che raggiungono l'Europa, magari offrendo la loro collaborazione o manifestando il loro intento ad un'eventuale ospitalità di questa gente.
Se noi diamo uno sguardo alla storia ci accorgiamo quanto siano stati coinvolti gli USA nei conflitti mediorientali, sia bellici che economici. Senza parlare dell'Africa, dove gli Stati Uniti soddisfano il 14% del loro fabbisogno di petrolio. Se poi analizziamo la manipolazione politica che gli americani hanno esercitato in Iraq, Iran, Palestina ecc. ci rendiamo conto inevitabilmente che sono stati altamente corresponsabili della destabilizzazione mediorientale.
Oggi quella povera gente che ha vissuto tutto il degrado politico ed economico, che ha vissuto il dramma delle guerre conseguenti alle scelte politiche di gran parte dell'occidente dove gli USA sono stati ampiamente coinvolti, tenta disperatamente di fuggire, ma stranamente quel continente grasso fatto di pop corn, palloncini e burro di noccioline, sta a guardare. Un territorio di quasi dieci milioni di chilometri quadrati non è stato offerto per ospitare un po' di quella migrazione causata da scelte dove gli Stati Uniti D'America sono stati ispiratori, autori e in questo caso, spettatori.
giovedì 17 settembre 2015
Le roccaforti del sistema
Individuare quelle che sono le roccaforti del nostro sistema non è difficile. Basta pensare a tutte quegli organi ben abbarbicati al suolo della nostra Italia di cui se ne conosce in maniera insufficiente il loro funzionamento, l'articolazione, la funzione e spesso anche l'esistenza. La SIAE per esempio è un ente economico pubblico a base associativa esclusivo e sotto il diretto controllo del sistema, deputato alla tutela e all'intermediazione dei diritti d'autore. Il funzionamento è molto complesso e prevede obbligatoriamente l'iscrizione di ogni artista che vuole tutelare un opera e successivamente riscuoterne i proventi relativi alla distribuzione. L'iscrizione e l'adesione è aperta a tutti, ma le modalità di registrazione e dichiarazione dell'opera sono incomprensibili, legati ancora a terminologie obsolete e fuori uso, nella musica per esempio si parla ancora di "riproduzione meccanica" relativamente alla produzione di CD.
La SIAE è una macchina a mio avviso lentissima, con tempi relativi alla registrazione delle opere lunghissimi e scoraggianti. Esistono pochissime alternativa alla SIAE per un autore, se non quella di aderirvi nelle diverse forme, naturalmente pagando una una quota associativa di diverse decine di euro, un'inezia per un artista famoso, tanta roba per un artista sconosciuto. Non voglio entrare nel merito del funzionamento di altre roccaforti di sistema, alcune chiamate semplicemente pubblici registri, ne esiste uno anche per il cinema. Provate a documentarvi su come fare per avere un visto censura relativo ad un vostro film o per fare in modo che questo sia ufficialmente esistente, in questo caso il ginepraio fatto di moduli e domande, certificazioni, e burocrazie vane è ancor di più scoraggiante.
Liberare gli artisti da tutto questo e semplificare le procedure credo sia diventata un'esigenza moderna, proprio nel momento in cui la rete si afferma come interfaccia tra il cittadino e le istituzioni.
martedì 15 settembre 2015
Un sogno al passato
Questo nuovo cortometraggio, realizzato insieme ad Alessandra Lombardi, è un ritorno con grande entusiasmo a quel genere di cinema sperimentale che avevo abbandonato da un po' di tempo. Un ritorno piacevole anche perché Alessandra aveva già preso parte in passato ad opere cinematografiche sperimentali, insieme all'artista Andrea Dami. Una compagna d'arte che oltre ad aver recitato, più che altro con impegno mimico, porta con se un grande bagaglio di esperienza di danza classica e rock acrobatico.
Il cortometraggio è un continuo vagare nel surreale, in un passato mai vissuto, sfidando il richiamo di un'entità che stenta a farsi riconoscere, un passato che con molta probabilità risiede in un profondo inconscio pieno di misteri. Un passaggio tra l'irreale ed il reale attraverso un estremo tentativo d'uscita che il personaggio raggiunge con convinzione e successo percorrendo un percorso obbligato verso un traguardo sicuro.
Nel finale viene sottolineato che i sogni sono esperienze ripetibili e la voce che rappresenta l'entità ignota lo sa benissimo.
Le location sono ben riconoscibili: l'abbazia di San Galgano e Chiusdino, in provincia di Siena.
Il cortometraggio è un continuo vagare nel surreale, in un passato mai vissuto, sfidando il richiamo di un'entità che stenta a farsi riconoscere, un passato che con molta probabilità risiede in un profondo inconscio pieno di misteri. Un passaggio tra l'irreale ed il reale attraverso un estremo tentativo d'uscita che il personaggio raggiunge con convinzione e successo percorrendo un percorso obbligato verso un traguardo sicuro.
Nel finale viene sottolineato che i sogni sono esperienze ripetibili e la voce che rappresenta l'entità ignota lo sa benissimo.
Le location sono ben riconoscibili: l'abbazia di San Galgano e Chiusdino, in provincia di Siena.
domenica 13 settembre 2015
Non sono un giornalista, sono un blogger
In Italia, patria da sempre delle corporazioni, bisogna fare una netta distinzione tra giornalista e blogger, perché? Perché in teoria il giornalista può pubblicare ed il blogger no. Ma che strano, dal momento che ognuno può aprire un blog, che ognuno può scrivere le proprie idee, che ognuno può aprire un sito Internet. L'articolo 21 della nostra Costituzione inizia così: "Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione...", quindi letto questo articolo tutti potrebbero scrivere, invece in realtà tutto si complica. Alcune leggi successive hanno fatto in modo che soltanto i giornalisti e i pubblicisti ancora ad oggi possono scrivere su una testata giornalistica. In Italia un sito Internet, se vuole fare informazione periodica, dovrebbe registrarsi presso il tribunale territoriale di competenza, ma questa registrazione è riservata soltanto ai giornalisti ed ai pubblicisti. Se volete togliervi la curiosità basta dare un occhio in calce alla prima pagina dei principali siti che fanno informazione e sicuramente troverete il numero di registrazione presso il tribunale.
La registrazione presso il tribunale potrebbe essere anche concepibile dal momento che chi fa informazione dovrebbe essere fonte autorevole, il problema è il requisito principale, bisogna essere giornalisti o pubblicisti. Mi chiederete sicuramente come si fa a diventare giornalista o pubblicista, in questo caso vi rispondo che tutto si complica. La differenza tra giornalista o pubblicista è minima, il primo è un professionista che svolge il proprio lavoro in maniera continuativa, il secondo può svolgerlo soltanto come attività ausiliaria. Chiunque può diventare giornalista o pubblicista, non occorrono titoli di studio, ma per accedere agli esami presso l'ordine dei giornalisti vi è un iter paradossale e scoraggiante. Uno dei requisiti, oltre a non aver riportato condanne penali, è quello di aver percepito compensi per ben due anni da una testata giornalistica (stampa, radio, tv od altro) a seguito dei propri articoli pubblicati o trasmessi, per questo requisito fa fede la documentazione dei pagamenti emessa dalla testata. In parole povere soltanto in pochi potranno fare il giornalista o il pubblicista, ammesso che qualcuno non si accordi con un giornalino di quartiere con compromessi al limite del legale. Molti ormai conoscono questo iter e spesso chi vuol provare ad intraprendere la strada del giornalismo, ammesso che non sia figlio d'arte, ci rinuncia per sfinimento strada facendo. Ed i bloggers? Io per esempio per il momento scrivo, ma evito di dare una cadenza periodica ai miei articoli che diventano così considerazioni di vita quotidiana. Mi raccomando però, citate sempre le fonti delle vostre notizie, se parlate di fatti, persone, eventi accaduti.
sabato 12 settembre 2015
La giornalista che prende a calci i migranti
Mi ha veramente sconvolto il caso Petra Làszlò, la giornalista ungherese che ha sgambettato e preso a calci alcuni migranti vicino al villaggio di Roske.
Ecco un breve episodio radio dedicato.
Ecco un breve episodio radio dedicato.
venerdì 11 settembre 2015
New York, 11 Settembre 2001
Eppure guardando questo documentario mi sono spesso soffermato a riflettere, osservando ogni fotogramma interessante, cercando di interpretare ogni intervista e guardando attentamente ogni filmato.
Dopo averlo visto per ben cinque colte ancora mi chiedo cosa veramente sia successo quell'11 Settembre a New York.
giovedì 10 settembre 2015
La RAI porta la mafia in TV
Stento a crederci e mi vergogno di essere italiano. Un servizio pubblico, la RAI, alla quale versiamo oltre cento euro annui di canone, solo per una questione di audience ha permesso a Vespa di invitare i familiari di un mafioso nella trasmissione "Porta a porta". Pensate al regalo che hanno fatto a questa famiglia, la visibilità a milioni di italiani, togliendo lo spazio televisivo ad iniziative importanti, ad artisti d'eccezione, alla vera informazione e al dissenso della gente onesta che lavora, che non ruba, che non spaccia droga, ma che è sobbarcata da tasse e da mille problemi.
Ma come si fa a parlare di informazione contribuendo a rendere ancor più popolare questa gente. Non è bastato il vergognoso funerale svoltosi sotto il silenzio delle autorità, non è bastato un elicottero a sorvolare Roma in barba alla sicurezza, senza autorizzazione, mentre lanciava petali di rose sopra una folla di delinquenti? No, non è bastato e in questo caso la RAI non può di certo dichiarare che non sapeva. Questo affronto ai cittadini onesti di questo povero paese è un'ulteriore dimostrazione di un potere marcio, corrotto, che si firma in questo caso dichiarandosi spudoratamente para mafioso attraverso la televisione. Arriverà anche il giorno della riscossa, perché prima o poi dovranno rendere conto a tutti. Mi appello ai giovani, svegliatevi ragazzi, che il futuro è vostro, non permettete che le vostre coscienze vengano storpiate da questa melma di potere.
mercoledì 9 settembre 2015
Sempre più poveri, sempre più ricchi
E' arrivato il momento di prendere coscienza che il divario tra ricchi e poveri é oramai a livelli ben conclamati. Tutto si ripercuote sulle nostre povere tasche che ogni giorno sono sempre piú misere. Anche cercando di impiegare ogni risorsa umana presente in una famiglia che possa contribuire all'incremento del reddito, a malapena riusciamo ad arrivare alla fine del mese. Ogni bene di largo consumo ha assunto pian piano un valore enorme, una specie di insano malefico giro economico ci ha costretti non solo a bruciare le materie prime, ma a distribuirne i proventi in maniera troppo differenziata. É matematicamente impossibile perpetuare questo stato di cose presenti e da qui il crollo della media borghesia, quella fascia di dipendenti e sottoposti che hanno assicurato all'Italia entrate sicure e dai quali spillare direttamente dalla busta paga. Per quanto riguarda i poveri, i disoccupati, i giovani pagheranno direttamente con il concetto di non essere retribuiti in quanto non hanno e non troveranno facilmente un lavoro sicuro. Anche nell'arte la crisi é evidente, nel cinema industriale per esempio, come nella televisione, ci sono artisti che riscuotono cifre astronomiche, mentre il contorno fa la fame. Di riflesso a ciò nasce il desiderio, il sogno di vita principesca nei cuori di coloro che sperano e credono di fare successo. Il successo dell'artista é il suo pubblico, non la ricchezza economica nella quale alcuni celebri nomi, tra l'altro, hanno perso la vita, quel pubblico che sa apprezzare l'artista, che sa farlo vivere bene, un pubblico che può guardarlo con meno diffidenza, un pubblico coinvolto principalmente nell'anima e non soltanto nella rappresentazione.
lunedì 7 settembre 2015
Vuoi fare la fotomodella?
Eccolo, si presenta: uomo di circa quarant'anni, abbronzato, camicia bianca, orologio da qualche migliaio di euro al polso, automobile "figata" e aspetto affascinante. Si presenta ad una ragazzina qualunque che ha compiuto diciotto anni, magari la incontra in discoteca, oppure la contatta su Facebook e le chiede se vuole fare la fotomodella. Le parla di successo, di cinema, di televisione, di pubblicità, di giornali, di riviste, di poster pubblicitari e la invita ad incontrarlo nella sua agenzia.
L'agenzia del "tamarro" di solito ha sede in uno di questi palazzoni della periferia industriale della città, dove affittano uffici a ottanta euro al giorno, dove all'interno esiste una scrivania ed un computer, ma soprattutto diverse fotografie incorniciate ed attaccate al muro che ritraggono il "tamarro" insieme a personaggi famosi dello spettacolo. Molti di questi agenti truffatori riescono in qualche modo ad entrare alle rassegne di spettacolo, ad avvicinare i vip e a farsi fotografare insieme a loro, come d'altronde chiunque riuscirebbe a fare se dotato di un po' di sfacciataggine. Quelle foto sono indispensabili per affascinare ancor di più le ragazzine, così il "tamarro" spiegherà che con quella gente famosa ha sempre avuto rapporti fraterni. L'agenzia chiaramente ha un sito internet, fatto apposta per restituire maggior credito alla pseudo azienda, un sito dove esistono informazioni pressoché fasulle. Il millantatore spiega alla ragazzina che per fare la fotomodella occorre un book fotografico, vale a dire un album di se stessa utile per mostrare ai vari produttori, fotografi, registi e chi più ne ha più ne metta. Chiaramente realizzare un book ha un costo, così il "tamarro" d'accordo con un amico fotografo con il quale divide i guadagni, provvede a far realizzare il book alla futura fotomodella. La ragazzina dovrà sborsare come primo passo circa cinquecento euro per pochi scatti fotografici, roba che un appassionato di fotografia farebbe ugualmente bene. Una volta stampato il book, il "tamarro" la invita a fare ulteriori copie del lavoro, questo perché è necessario spedire il book anche fuori città, fuori regione, all'estero e così via. Le copie ulteriori chiaramente hanno un costo ulteriore, così la ragazzina spenderà altri soldi. Passato del tempo l'agente in camicia bianca contatterà la modellina e le farà fare un servizio fotografico, magari per un'azienda di vestiti cinese o russa con il nome della marca scritto in lingua locale, (親密 - интимный), questo per arginare la ricerca su internet, così nessuno saprà mai se questa marca esiste davvero o meno. Per dimostrare la sua "serietà" il "tamarro" pagherà il servizio fotografico alla ragazzina, con una cifra molto inferiore rispetto a quella spesa per fare il book e tutto il resto. In un secondo tempo, il millantatore, facendo forza sul fatto che comunque le ha procurato del lavoro, la inviterà ad aprire un sito internet da dedicare alla promozione della sua immagine di modella. Il sito internet chiaramente ha un costo che varia dalle cinquecento euro a qualche migliaia di euro, così la ragazza, per non perdere contatti e fama, accetterà. Arriverà successivamente un secondo lavoro per la malcapitata, uno spot pubblicitario, chiaramente fasullo, che non sarà mai editato ne pubblicato, ma soltanto registrato in uno studiolo di periferia. Ed anche in questo caso la ragazza sarà pagata molto meno di quanto ha speso per la sua promozione.
Dopo un paio di lavori la povera illusa non sarà più contattata.
Ah, dimenticavo, molti di questi millantatori fanno firmare contratti esclusivi, così le ragazzine non potranno rivolgersi a nessun'altra agenzia per tutto il tempo previsto dal contratto.
Ecco la triste tabella dei risultati:
COSTO DEL BOOK Euro 500
COSTO DELLE COPIE Euro 200
COSTO DEL SITO INTERNET Euro 500
Totale spesa: Euro 1200
GUADAGNO DAL SERVIZIO FOTOGRAFICO Euro 150
GUADAGNO DALLO SPOT PUBBLICITARIO Euro 200
Totale guadagno: Euro 350
A conti fatti l'uomo di circa quarant'anni, abbronzato, camicia bianca, orologio da qualche migliaio di euro al polso, automobile "figata" e aspetto affascinante si metterà in tasca 850 Euro. Naturalmente moltiplicati per ogni poverella che si illude di fare successo.
sabato 5 settembre 2015
Italiani popolo di migranti
New York - Litte Italy - 1900 |
I nostri primi italiani a migrare furono i settentrionali, tra il 1876 e il 1900 e mi riferisco proprio a quelle regioni dell'Italia che da più di vent'anni paradossalmente, hanno dato origine a partiti politici chiamati "Lega Lombarda, Lega Veneta, Lega Nord" e così via. Soltanto successivamente iniziò la migrazione dei popoli del nostro meridione, con flussi importanti, d'altronde l'Italia era una terra povera come lo sono adesso L'Africa e gran parte del Medio Oriente. Questi popoli, così come noi un tempo, giustificati dalla fame e dalla guerra, oggi disperatamente cercano di raggiungere l'Europa nella speranza di una vita migliore.
Gli Italiani migrati all'estero negli ultimi 140 anni sono stati complessivamente 29.036.000, circa la metà della nostra popolazione attuale. Abbiamo migrato in condizioni disperate, spesso da clandestini, portavamo le nostre valigie di cartone, venivamo messi in quarantena per la profilassi delle malattie contagiose e se vogliamo essere precisi abbiamo migrato anche con un bel po' di delinquenti. Negli Stati Uniti siamo stati capaci di insediare le peggiori mafie con a capo boss di prim'ordine: (Lucky Luciano, Al Capone, Frank Capone, Frank Nitti,
Frank Costello, John Gotti, Joe Masseria, Johnny Torrio, Joe Petrosino, Giuseppe Pietro Morello (Piddu), Vincenzo Mangano, Joe Profaci, Vito Genovese, Albert Anastasia, Big Jim Colosimo, Nick Gentile, Joseph Magliocco, Joseph Colombo, Joe Gallo, Carlo Gambino) e così via. Ho preso per esempio gli Stati Uniti, ma potrei fare altrettanto per altri paesi, tra cui Argentina, Venezuela, Brasile, Germania, Belgio, Francia e che più ne ha più ne metta.
Tutto questo deve farci riflettere che oggi è arrivato il momento di comprendere che la nostra Italia di un tempo non era differente dell'attuale Siria, Nigeria, Eritrea, Pakistan, Bangladesh, ecc. La nostra Italia un tempo fu reduce da un novecento fatto di guerre, carestia e povertà, così la gente fuggiva, rifugiandosi ovunque, in cerca di un lavoro, di pace e serenità. Non è escluso che fra qualche tempo, per noi italiani, si debba ripetere quest'avventura.
venerdì 4 settembre 2015
L'era del piccolo dissenso
Le nostre lotte, il nostro dissenso, si è ridotto veramente ai minimi termini. Sempre più spesso vediamo nelle strade piccoli gruppi di persone, sotto la bandiera di un piccolo partito sconosciuto, di un comitato, di un'associazione, che protesta per conto proprio. Piccole manifestazioni di cento, al massimo duecento persone, organizzate in date diverse, in quartieri sconosciuti, in circostanze di mancanza di visibilità. Questa è la nuova Italia del dissenso, fatta di bandierine di tutti i colori, rosse, verdi, arancioni, arcobaleno, ognuno che protesta per conto proprio, con palloncini, con stelle filanti. Tutti in fila, tutti educati, con un esercito di agenti di pubblica sicurezza in tenuta da sommossa sempre dietro, pronti a tirar manganellate appena qualcuno non rispetta le regole della pubblica piazza. Tutto questo a mio avviso non serve a niente. In Italia manca un grande partito, un grande sindacato, un grande ideale che possa essere sufficiente per unire il dissenso e in un certo senso mettere in difficoltà il potere. I diritti più importanti dei lavoratori, delle famiglie, dei cittadini, si sono ottenuti quando esistevano grandi partiti all'opposizione, dei veri partiti che facevano l'interesse delle masse e non delle tasche dei propri esponenti. La storia ne è testimone, i nostri padri lo sono ancora di più quando parlano delle loro lotte, delle vittorie sindacali, del patrimonio che ci hanno lasciato.
E Adesso? Tutto ci viene tolto, pian piano, ogni diritto conquistato con lotte disperate scompare e la cosa che più fa pensare è che scompare senza un grande dissenso. Mentre ogni conquista viene cancellata, la gente non riesce ad organizzarsi. Solo qualche uomo o donna di buona volontà riesce a tirar su quel girotondo di bandierine che fa tenerezza di fronte alle roccaforti del potere.
mercoledì 2 settembre 2015
La ringhiera del ponte
Passeggiavo con mia moglie a braccetto, lungo quella strada, era molto freddo ed indossavamo abiti molto pesanti. Mia moglie camminava alla mia sinistra, il nostro fiato evaporava in quella rigida atmosfera invernale e camminando ci scambiavamo qualche fugace sorriso. Tra di noi un dolce silenzio, lei era sempre stata un tipo silenzioso, con i suoi capelli biondini, eternamente giovane, col suo piccolo volto rosa dalla pelle delicatissima e quasi sempre arrossata dal freddo. Io ero avvolto dal mio grande cappotto oramai vecchio di oltre dieci anni e lei indossava un vestito marrone con un collo di pelliccia. Ambedue eravamo avvolti da una sciarpa, lei indossava il suo cappellino di lana ed io avevo il colbacco scuro, anch'esso molto vecchio, ma ancora utile.
Era domenica mattina e non si lavorava, sposati da dodici anni, ogni domenica facevamo la stessa passeggiata. Purtroppo senza figli, soli, in un'esistenza fatta di sorrisi e carezze, ambedue figli unici senza più genitori. La nostra piccola, ma calda casa, le nostre tre piccole stanze, la nostra cucina oramai vissuta nella consuetudine giornaliera e nel rispetto dell'orario del pranzo e della cena, l'eterno odore di cipolla soffritta. Le nostre sedie, in legno, impagliate e ben conservate grazie alla meticolosità di mia moglie, mostravano, nonostante tutto, i segni di dieci anni di uso giornaliero, la paglia stava cedendo sfogliandosi. Il nostro piccolo bagno con la saponetta rosa sul lavandino, ed il nostro salottino con il divano in stoffa verde, ancora rivestito da un telo di colore avorio con i girasoli disegnati da una vecchia amica.
Assaporavamo ogni domenica mattina la semplicità del nostro piccolo quartiere popolare, con quella strada grigia che tramite un ponte attraversava il fiume uscendo dagli ultimi isolati. La ringhiera di quel ponte, di colore marrone, fredda, l'accarezzavo quasi fosse un percorso di mano obbligato, così ne sentivo ogni volta le screpolature dello smalto deteriorato dal tempo. Era comunque una ringhiera di ferro massiccio, costruita per non distruggersi mai, per non essere mai sostituita. La nebbia, che nei nostri lunghissimi inverni regnava perenne, mi impediva, dal ponte, di notare l'enorme distesa campestre che si poteva mirare ogni volta che era sereno. Il nostro quartiere, la nostra vita, il nostro mondo con le nostre abitudini, che davano a me e a mia moglie una sicurezza ed una serenità incredibile. Al ritorno da quella passeggiata era sempre l'ora del pranzo, e la domenica, cucinavamo la carne, due belle fette di carne ed una minestra di verdure, poi la frutta ed il dolce fatto con le uova, buonissimo, che lasciava fino a sera quel profumo di vaniglia per tutta la casa. Il pomeriggio ascoltavamo la nostra radio, coricati sul divanetto, con il programma di musiche popolari, lei con il suo capo biondo reclinato su di me nel suo leggero sonno, con la pelle profumata di saponetta, io con le sue mani nelle mie, le sue piccole mani, così esili, ma provate dal tempo e dal bucato fatto a mano nella piccola vasca da bagno, quel bucato che fresco ogni giorno indossavo.
Quel giorno, come mille altri, assaporavamo i nostri piaceri, come per rito, nell'essenza di una vita semplice, ma sicura, nel calore del nostro piccolo grande mondo. Eravamo felici e complici nel degustare ogni cosa, dal piccolo quadretto con le piramidi sistemato nell'ingresso, al dolce della domenica.
Ma più che altro vi era la sicurezza di avere un lavoro che ci teneva impegnati tutti i giorni e l'essere coscienti che quel lavoro non era una condizione, ma una partecipazione attiva. Il nostro lavoro, la nostra piccola casa, la nostra vita.
Oggi tutto questo è un'incertezza.
Non è più una certezza il nostro lavoro, la nostra casa, la nostra vita. Non è più una certezza il dolce della domenica.
La ringhiera del ponte l'accarezzo ancora, nel mio percorso di mano obbligato, dentro quel ferro è racchiusa tutta la mia primavera.
martedì 1 settembre 2015
La torta di fine anno scolastico
Martina faceva la quinta elementare, viveva con la mamma ragazza madre, suo padre non lo aveva mai conosciuto. Il profumo di quella casa nella quale Martina viveva era di costante tenero garbo alimentare, a volte cioccolato, a volte sedano o cipolla, ragù, patatine fritte e quant’altro di buono poteva preparare nella fantasia culinaria la mamma Stefania. Martina adorava sua madre, giovane e bella, sempre di fretta per il suo lavoro di segretaria, piccola ma non eccessivamente grande, tenera e giocosa, sempre sorridente. Martina ricordava quel giorno quando poi la madre perse il lavoro e successivamente il suo amore, quell’ uomo che compariva e spariva, grande, con la barba, che portava sempre allegria e giocattoli. In quel tempo la primavera cominciò a farsi sentire, farfalle e margherite cambiarono la scenografia del campo la vicino, ma la cinghia intorno a quella parsimonia sempre più evidente a causa della scarsità di soldi, non rasserenava di certo quelle giornate. La mamma piangeva spesso, nell’angolo della camera, seduta sul letto, ma anche se negava i suoi occhi lucidi, Martina la vedeva e le faceva mille domande.
La quinta elementare stava finendo e intanto si avvicinava l’ultimo giorno di scuola, Martina era emozionata. La mamma le stava vicino, cercando di aiutarla per le ultime verifiche, anche perché le aveva promesso un dolce buonissimo da portare a scuola per la festa di fine anno scolastico. La bimba studiò così tanto che prese un giudizio strepitoso a seguito della sua ultima verifica di italiano, lei voleva quel dolce, il suo desiderio di far assaggiare la torta di mele della mamma ai suoi compagni di scuola era il suo obiettivo, la sua gioia.
Così il giorno prima della festa Stefania preparò una torta di mele enorme, impiegò tutto il pomeriggio per terminarla, comprò mele prelibate di prima scelta ed aggiunse tanta marmellata per renderla ancora più gustosa. Avendo ricominciato a lavorare da poco riuscì comunque a prendere un giorno di permesso per ottemperare alla promessa che aveva fatto alla sua bambina, la torta di mele. Il giorno dopo incartò la torta con carta verde, perché disse che il verde era il colore della speranza, un buon auspicio per le scuole medie, così fatto, accompagnò sua figlia a scuola tenendo con le due mani la grande torta. Con un sorriso enorme e con il fiatone la mamma e la bambina finirono di salire le due rampe di scale che conducevano all’aula scolastica già addobbata per la festa di fine anno e vi entrarono con la torta.
Nessuno dei bimbi esultò alla vista della grande torta incartata di verde, anzi, la maestra si fece avanti e chiese alla madre cosa contenesse quel pacco. La maestra, saputo del contenuto, gentilmente invitò la madre di Martina a non consegnare la torta. Il regolamento scolastico prevedeva per la condivisione di alimenti, cibi esclusivamente confezionati e non preparati a mano. Vani furono i tentativi della madre di Martina di spiegare che la torta era stata preparata con ingredienti freschi. La torta tornò indietro.
Martina iniziò a piangere, era incredibile che una torta del genere non potesse essere mangiata, quella torta preparata con tanto amore dalla mamma per tutti i bambini. La salutò con gli occhietti arrossati, ma la mamma sorridendo sempre, non mostrò alcun segno di imbarazzo tanto che se ne tornò a casa da sola con la grande torta sorretta con due mani con il sorriso di sempre. Quell’enorme pacco copriva i capelli biondicci della donna, le copriva lo sguardo, la visuale, la strada che attraversava.
Stefania urtò un ciclomotore parcheggiato male appena vicino al marciapiede, la torta cadde per terra sfilandosi dalla confezione, era così fresca che si disfece sull’asfalto. Subito dopo, il passaggio di un paio di automobili, resero tutta quella bontà una poltiglia sulla strada. Se ne tornò a casa, aprì la finestra e respirò profondamente, la vita doveva comunque continuare serena con la sua bambina, il suo cuore adesso batteva forte, la sua anima di piccola grande donna si mescolava tra gli odori di una nuova primavera.
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