lunedì 23 giugno 2025

La Genesi del romanzo "L'ultimo Fiore"

Tutto è iniziato, come spesso accade, da un'immagine. O meglio, da una collezione di vecchie fotografie di famiglia risalenti ai primi anni del '900. Quelle figure sbiadite, quegli sguardi lontani, racchiudevano storie silenziose. Una in particolare mi ha sempre affascinato: quella del mio bisnonno Pasquino e la drammatica e misteriosa storia della sua scomparsa. Era una ferita aperta nella memoria familiare, un enigma che chiedeva di essere svelato. Da quel desiderio di dare voce a un passato taciuto è scaturita l'idea di "L'ultimo fiore".

Un Viaggio nel Tempo: La Ricerca

Trasformare un'intuizione e un racconto familiare in un romanzo strutturato ha richiesto un intenso lavoro di ricerca. Volevo che la storia, pur avendo elementi di finzione, poggiasse su basi solide, ancorata alla realtà storica e ai fatti verificabili.

  • Ho cercato di ricostruire la dinamica della scomparsa di Pasquino consultando articoli di giornali dell'epoca, in particolare un fascicolo de "La Nazione" del 1920. Un lavoro quasi investigativo tra le righe stampate quasi un secolo fa.
  • Ho visitato cimiteri e archivi storici, alla ricerca di tracce, date, conferme. Ogni documento, ogni lapide, era un potenziale tassello del puzzle.
  • Ho passato ore alla biblioteca nazionale, a leggere microfilm di giornali ingialliti, immergendomi completamente nell'atmosfera e nel linguaggio di quel periodo.

Questa fase è stata cruciale non solo per la trama principale, ma anche per curare i dettagli che rendono un'epoca viva. Ho studiato a fondo il contesto storico del "Biennio Rosso" (1919-1920), un periodo di grandi tensioni sociali e politiche in Italia, che fa da sfondo alle vicende. Mi sono preoccupato anche di dettagli apparentemente minori ma fondamentali per l'autenticità, come le forme di saluto usate a Firenze all'inizio del '900 o la toponomastica delle vie in cui si muovono i personaggi.

La Voce della Famiglia: Custodi del Passato

Accanto alla ricerca "formale" c'è stata la voce viva della famiglia. I racconti tramandati, gli aneddoti, le memorie spesso frammentate ma ricche di umanità. Fondamentale è stata una lunga conversazione registrata con mia zia Iolanda, la vera custode delle memorie familiari, colei che ha tenuto vivo il ricordo di Pasquino e degli eventi. Le sue parole, la sua emotività, hanno dato spessore e anima ai personaggi e alle situazioni, offrendo prospettive uniche e dettagli che nessun archivio avrebbe potuto fornire.

Dall'Idea al Romanzo: Intuizione, Fantasia e Lavoro

Così, mescolando intuizione, la mia fantasia di storyteller e un meticoloso lavoro di documentazione storica e familiare, "L'ultimo fiore" ha preso forma. È un romanzo di circa 230 pagine che spero riesca a toccare i lettori come ha toccato me nel scriverlo e come ha già emozionato chi ha avuto modo di leggerlo in anteprima. È la dimostrazione che le storie più profonde spesso si nascondono tra le pieghe della nostra storia personale e collettiva, pronte a essere riscoperte e raccontate.

Spero che questo breve viaggio nella genesi de "L'ultimo fiore" vi abbia incuriosito. Se volete scoprire la storia di Pasquino e il mistero che avvolge la sua scomparsa, e se volete supportare il mio lavoro, trovate "L'ultimo fiore" disponibile su Amazon. È acquistabile in versione cartacea con copertina flessibile. Ogni lettura è un piccolo, grande incoraggiamento a continuare a cercare e raccontare storie. Grazie!

domenica 22 giugno 2025

Sulle tracce di Pasquino: Come ho ricostruito la storia dimenticata del mio bisnonno

Ci sono storie che abitano le nostre famiglie come presenze silenziose. Sono fatte di frammenti, di aneddoti sussurrati durante un pranzo di festa, di nomi incisi su vecchie fotografie. Non le trovate nei libri di storia, eppure sono state vite vere, pulsanti, cariche di sogni e di drammi. La storia del mio bisnonno, Pasquino – per tutti Pasquale – era una di queste. Per anni, è stata un'ombra nella memoria della mia famiglia, una figura definita più dalle sue assenze che dalle sue certezze.

Di lui si sapeva poco: che era un sarto tornato dalla Grande Guerra, che la sua vita era stata avvolta da una tragedia, che il suo destino si era compiuto troppo presto. Ma ogni volta che il suo nome affiorava nei racconti di mia madre o di mia zia, sentivo che dietro quel velo di tristezza c'era un'esistenza che gridava per essere raccontata, un'anima che chiedeva di non essere dimenticata.

Come regista e scrittore, ho sempre creduto che il nostro compito sia dare voce a ciò che rischia di perdersi nella polvere del tempo. E così, con la sensazione di rispondere a una chiamata, a un dovere intimo, ho deciso di intraprendere un viaggio a ritroso. Un viaggio per restituire a Pasquino la sua storia.

Il primo passo, il più prezioso, è stato sedermi con mia madre e mia zia, accendere un registratore e ascoltare. Le loro voci, a tratti incrinate dalla commozione, sono diventate la mia bussola. Ogni loro ricordo era un pezzo del mosaico: l'orgoglio per il lavoro di sarto, il racconto della sua bottega nel cuore di una Firenze inquieta, la descrizione di un uomo buono ma tormentato dalle cicatrici invisibili che la guerra gli aveva lasciato dentro. Quelle conversazioni sono state più di una semplice raccolta di dati; sono state un passaggio di testimone, un'eredità emotiva che mi ha investito di una grande responsabilità.

Ma le memorie familiari, per quanto potenti, non bastavano. Volevo capire il mondo che aveva visto Pasquale, l'aria che aveva respirato. Ho passato giorni interi nelle sale silenziose della Biblioteca Nazionale di Firenze, sfogliando i giornali di quel periodo, 1919-1920. Le cronache parlavano di scioperi, di tensioni sociali, di una miseria palpabile e della paura ancora viva della Spagnola, che aveva decimato intere famiglie. All'Archivio Storico, ho cercato il suo nome, una traccia ufficiale, un documento che potesse confermare i racconti.

Lentamente, Pasquino ha smesso di essere un fantasma. Ho iniziato a vederlo camminare per le strade di una Firenze che non c'è più, ho immaginato la sua fatica, le sue speranze, i suoi amori. Ricostruire la sua vita è stato come montare un film senza avere tutte le scene. I fatti storici erano l'intelaiatura, i ricordi familiari erano i dialoghi, ma per riempire i silenzi, per dare un'anima a quell'uomo, ho dovuto usare gli strumenti del romanziere. Ho dovuto immaginare i suoi pensieri, il battito del suo cuore, la stretta allo stomaco di fronte ai bivi della vita.

"L'ultimo fiore" è nato così, dal dialogo tra la memoria e l'immaginazione. È la storia di mio bisnonno, ma è anche la storia di tutte quelle "anime silenziose" di un'epoca inquieta, la cui vita non ha trovato spazio nei libri di storia. È il mio tentativo di saldare un debito, di restituire dignità a un'esistenza e di credere che nessuna vita, per quanto umile o tragica, vada veramente perduta finché c'è qualcuno disposto a raccontarla.

Spero che, leggendo la storia di Pasquale, possiate sentire anche voi il richiamo delle vostre radici e magari trovare la voglia di chiedere, di ascoltare, di preservare le storie uniche che rendono ogni famiglia un piccolo, irripetibile universo.

venerdì 20 giugno 2025

Sentire l'arte: Un viaggio nello sguardo che cambia

Spesso ci chiediamo se l'arte debba essere decifrata, compresa nel suo intimo significato. Ma forse l'invito più autentico è quello di lasciarsi semplicemente toccare. L'arte, nel suo respiro più profondo, è un linguaggio che parla direttamente al cuore, un'eco che risuona nell'anima prima ancora di raggiungere la mente analitica. È un'assurdità, quasi una presunzione, voler imprigionare ogni espressione artistica nelle reti della piena comprensione razionale.

Ciò che eleva un oggetto, un'esperienza, al rango di 'arte', non è la sua perfezione formale o la sua immediata decifrabilità, ma la sua capacità vibrante di trasmettere un messaggio che trascende la mera apparenza. Un sussurro, un grido, un'inquietudine che viaggia oltre la materia.

E per chi esiste quest'arte? Per il solitario creatore, perso nel suo dialogo interiore? O per lo sguardo che accoglie l'opera, tessendo nuove interpretazioni? L'arte è un ponte, uno spazio condiviso dove entrambe le dimensioni si incontrano e si arricchiscono. È una danza a due, un'esistenza che si completa nell'incontro.

E sì, l'arte possiede un potere quasi magico: quello di alterare, anche solo per un istante, il modo in cui percepiamo il mondo. Questa capacità trasformativa non è un optional, ma una delle sue condizioni essenziali. L'arte non deve necessariamente sedurre con il 'bello' convenzionale; deve muovere, scuotere, suscitare un'emozione sincera. Deve rappresentare qualcosa, non importa cosa, purché quel 'qualcosa' generi un'eco nell'anima. È nel sentire, nel lasciarsi trasformare, che risiede la sua vera, ineffabile essenza.

sabato 14 giugno 2025

La Luce estiva, il tempo Sospeso e la pace interiore


La luce estiva danza in modo diverso. Non si limita a illuminare, dilata. Dilata le giornate, allungando ombre e orizzonti, e con essi, la nostra percezione del tempo. È come se le ore si stirassero dolcemente, regalando una sensazione preziosa: quella di avere più spazio per vivere, per assaporare ogni istante. In questo ritmo estivo più lento, quasi sospeso, si aprono varchi nella frenesia quotidiana. È qui che riscopriamo una parte di noi spesso sopita: la capacità di fermarci, di riflettere in profondità, di dedicare spazi intimi alla scoperta e all'elaborazione delle emozioni che affiorano nel silenzio. Se l'estate potesse parlare con un sentimento, sono certo sussurrerebbe "pace interiore". È un respiro calmo, nutrito dal calore sulla pelle e dalla quiete ritrovata nelle giornate distese. Un ricordo particolare, un luogo come la Sardegna, può cristallizzare questo sentimento, un'isola che rapisce il cuore e lo restituisce intriso di sale, bellezza e profonda serenità. Ma c'è una lezione più sottile, una consapevolezza che trascende la stagione. La presenza, quella luminosa consapevolezza d'esistere, non è un dono esclusivo dei mesi caldi. È un esercizio, una pratica che fiorisce in ogni stagione, se coltivata. La fugacità stessa della luce estiva più lunga ci ricorda la preziosità dell'attimo, spingendoci a vivere pienamente il presente. L'estate, nella sua magnifica ma breve apparizione, ci insegna che il tempo non è solo qualcosa che scorre, ma un'esperienza da abitare con pienezza e consapevolezza, portando la sua pace interiore e la sua luce dentro ogni giorno dell'anno.

L'eco del dentro: Riflessioni

La dimora, per me, non è fatta di muri, ma di spazi interiori. Spesso, la mia vera "casa" si condensa nell'angolo quieto dove le idee fioriscono e le mani plasmano. È lì, nell'officina dell'anima, che il mondo esterno si attenua e il dialogo con me stesso si fa più intenso.

Se l'orologio svanisse, se il tempo si stendesse illimitato davanti a me, non cercherei conquiste esteriori, ma mi immergerei nell'abisso dell'essere. La mia tela infinita sarebbe la comprensione, la ricerca dell'assoluto, il tentativo di afferrare l'essenza stessa della consapevolezza umana, quell'eco profonda del "sono".

Ho imparato molto dalle cadute. Forse la lezione più preziosa non è stata rialzarsi, ma capire l'importanza di un passo indietro. Allontanarsi da ciò che ha causato la crepa, evitare di ricalcare sentieri già percorsi dal fallimento. Una saggezza amara, ma necessaria per preservare lo spazio interiore.

Negli ultimi tempi, uno sguardo al mondo esterno ha portato con sé una certa disillusione. La cattiveria gratuita, l'ignoranza che sembra sempre più una scelta, lasciano un segno amaro. È difficile armonizzare la delicatezza della creazione con la ruvidezza del fuori.

Eppure, c'è un piccolo, quotidiano rito che ancora mi àncora, che mi fa sentire vivo: la colazione. Quel momento sospeso, tutto mio, con una giornata ancora intatta davanti, è un respiro profondo, un piccolo atto di gratitudine per il semplice esistere, prima che il rumore del mondo torni a farsi sentire. È lì, nel silenzio di un mattino, che ritrovo la mia casa più vera.