Profonda riflessione in un'unica carrellata, oggi ho osservato intorno a me, nel centro commerciale, camminando verso l'uscita. Una giovane ragazza triste, forzatamente vestita con tailleur corto e tacchi, mentre cercava d richiamare l'attenzione del pubblico con un volantino dell'acqua pura, indifferenza assoluta di tutti, nella confusione accompagnata da anonima musica di plastica. Neanche il giovane fascino serviva a quella ragazza con quel quel piccolo dolce sorriso, un accenno di sorriso segnato dalla noia di un lavoro pressoché inutile. Più in la un ragazzo di colore seduto su una poltroncina con uno smartphone in mano dal vetro rotto. Immenso via vai di gente con buste di plastica piene di cibo, una coppia di anziani da una parte intenti a controllare il loro scontrino, si interrogavano, facevano i conti. Due adolescenti incappucciati dalle loro felpe, pantaloni che scoprivano esili caviglie, a testa bassa camminando messaggiavano seri seri. E poi, un'altra promozione accompagnata da un ragazzo ed una ragazza che suonavano una chitarrina, non si sentiva niente se non un fioco grattugiare di lieti accordi maggiori. All'uscita mi sono voltato, li ho visti tutti insieme, come in un teatro, un pietoso show della miseria. Ed io ero li, con il mio giubbottone verde, la spesa e quella grattata di freddo che oggi pomeriggio si è fatta sentire. Chiusa quella porta automatica come un sipario, tutti sono rimasti dietro il vetro, come in un acquario di pesci, adesso erano muti.
E' grande il centro commerciale e tutto intorno la distesa di cemento e le case di periferia. Ad ogni passo il ritmo della consuetudine, della mia vista debole con gli occhiali attaccati al collo per riuscire a leggere. Un po' di coriandoli per terra di un carnevale scolorito e di nuovo nell'utilitaria stanca, tra sordidi rumori di chi va e chi viene.