Mi impressionò il silenzio e qualche grida in lontananza, tripudianti, parevano degli "evviva" sommersi dal freddo. Ed era freddo, saranno stati si e no una decina di gradi al di sotto dello zero. Silenzio e ghiaccio. Nessun commento oltre quelle grida in lontananza. Avevo lasciato la mia abitazione velocemente, dovevo raggiungere il circolo, li mi avrebbe atteso Fiorenzo. Ero completamente incappucciato nel mio giubbotto, nascondendo il volto all'inverno, mentre il vento gelido calcava screzi sul mio volto. Erano passati soltanto pochi minuti e la bufera di sottili frammenti di ghiaccio si intensificava sino a costringermi a fermarmi sotto un piccolo porticato. Cercai, nonostante i guanti di lana, di scaldarmi le mani battendole l'una con l'altra, mentre la strada era immersa in un vortice di vento e neve che mi impediva di vedere lontano, tranne alcune sagome che attraversavano la strada in lontananza. Un attimo dopo una mano mi afferrò la spalla:
"Devi andartene da qui", ebbi un sussulto e poi caddi nel panico, mi voltai e vidi il volto di una donna:
" Stai tranquillo, ti conosco di vista, ti ho visto spesso al lago", aveva il naso leggermente sanguinante, biondiccia, le labbra screpolate, ma io sapevo che la situazione era gravissima, avrei dovuto raggiungere Fiorenzo.
"Anche io ti ho vista, mi aspetta un amico, ti ringrazio, mi tolgo da qui...", ma lei ribadì dicendo che era meglio se andassi da tutt'altra parte.
"Mi dici come mai non posso andare verso il circolo?" Lei tirò fuori una mappa sgualcita e mi indicò una zona che io conoscevo bene.
"Loro sono qui e saranno da queste parti tra cinque minuti al massimo, non lasceranno piú traccia di niente al loro passaggio, ti conviene venire con me".
Era convincente, per un attimo rimasi accecato dal suo sguardo, dai suoi due grandi occhi azzurri. Aveva la testa coperta da un grande cappello di lana, una grossa sciarpa bianca, un cappotto e gli scarponi anfibi, mentre il fumare della condensa del suo respiro investiva in pieno il mio volto.
Iniziai a correre con lei verso una discesa che conduceva al casolare del Navicello. Li ci fermammo, affannavamo accovacciati dietro un'auto abbandonata, ci guardammo intensamente, come per scoprirci a vicenda.
"Sei stanca, fermiamoci un attimo", le dissi dolcemente cercando di scoprirle gli occhi coperti da un ciuffo di capelli.
"Non é un'ottima idea", disse, mentre il suo respiro si stava stabilizzando, cosí, mi tese la mano:
"Senti come batte il polso", misi il mio dito indice sotto i suoi guanti, poi le strinsi la mano per rilasciarla ancora in un dolce e affettuoso contatto.
"Devo togliermi i guanti?" mi chiese osservandomi dolcemente.
"E' freddo lascia stare", le risposi, non nascondendo una certa voluta indifferenza.
"Dai muoviamoci, raggiungiamo il boschetto, li non ci potranno vedere". La corsa fu abbastanza lunga da costringerci, almeno un paio di volte, a fermarci per riprendere respiro. Arrivammo al boschetto e lei cadde per terra stanca e stremata nei pressi di un castagno.
"Ci fermiamo qui", balbettava ansimando.
"Si", le risposi strozzato dall'affanno. Anche io mi buttai per terra, su quel terriccio ghiacciato, accanto a lei, adesso, ambedue guardavamo il cielo bianco.
In lontananza un clamore di marcia e una serie di spari, noi due, supini, incontravamo adesso i nostri volti di lato.
"Sei stanca?"
"No. Ti chiami Dimitri vero?"
"Si e tu?"
"Veruska"
"Lo sai che sei bella?"
"Mi fai arrossire"
"E' freddo, sei giá rossa", le dissi sorridendo.
"Non possiamo stare qui per molto, potrebbero vederci"
"No, non credo". Mi girai verso di lei e le accarezzai il volto, era molto freddo. Lei mi bació le dita ed io incontrai la sua bocca con la mia. Ci baciammo a lungo per poi restare vittime dei nostri dolci sensi quasi stregati dal freddo ed incuranti di quello che stava accadendo. Le abbassai i pantaloni e facemmo l'amore, lei era bellissima e si struggeva tra le mie braccia comunicandomi tutta la sua sincera passione.
Adesso era giunta l'ora di riprendere la marcia, sarebbero passati anche di li, avrebbero lasciato terra bruciata. Percorremmo i sentieri del boschetto che conducevano verso le statue delle sfingi, lí vicino vi era una piccola scalinata, Veruska scivolò su una lastra di ghiaccio procurandosi un gran dolore alla caviglia.
"Ti fa molto male?" le chiesi avvicinandomi per aiutarla
"Abbastanza, ma non posso farci niente, non possiamo fermarci"
Le tolsi lo scarpone dopo averla fatta sedere sui gradini con l'intenzione di massaggiarle la caviglia, ma appena iniziato questo dolce atto di tenera assistenza, ruppe l'incanto un grido marziale trasformando la favola in improvviso terrore: "ALT!" Uno slancio di entrambi verso il basso, Veruska correva senza uno scarpone, zoppicando, io per un attimo ho pensato soltanto a me stesso, dimenticandomi di lei e del nostro incanto, correvo all'impazzata mentre da dietro iniziarono a sparare.
"Aspettami Dimitri, aiuto!", urlava disperatamente. Non mi voltai, continuai a correre, mi tuffai di lato alla scalinata, sprofondando in una siepe e rotolando giù nel sentiero in basso, coperto dalla vegetazione. Dall'alto le grida:
"L'abbiamo perso, procediamo, non c'é tempo da perdere"
Qualche minuto poi si allontanarono, ma io non sentivo più la voce di Veruska.
Dopo un'ora uscii allo scoperto. Verusca era distesa immobile sulla scalinata senza lo scarpone. Mi avvicinai, lei mi guardava con i suoi grandi occhi azzurri, era ferita, il suo volto era freddo, le rimisi lo stivale e cercai di trascinarla dietro la siepe. Le mie mani erano sporche di sangue mentre, cercavo di medicarle velocemente quelle ferite con tutte le opzioni che avevo a disposizione, Veruska adesso stava meglio. Tentai di fare di nuovo l'amore con lei, anche perché oramai sapevo di aver perso la partita, tentai di riprendere possesso di lei calandole i pantaloni, ma un messaggio mi apparve davanti allo schermo:
"OGNI GIOCATORE PUO' POSSEDERE OGNI DONNA DEL GIOCO UNA SOLA VOLTA, PER POSSEDERLA PIU' DI UNA VOLTA E' NECESSARIO SCARICARE LA VERSIONE COMPLETA DEL GIOCO"