martedì 29 dicembre 2015

Movimenti rivoluzionari

Ogni movimento per definirsi rivoluzionario deve avere il più ampio consenso possibile, deve porre sulle basi della sua rivoluzione ideali di lotta e di giustizia, di fondamentale cambiamento o innovazione. Deve essere frutto di una logica ampiamente espressa e concreta elaborata da una coscienza collettiva, ma non può portarsi dietro un popolo narcotizzato. E' necessaria quindi una capillare organizzazione che assomigli il più possibile al sistema verso il quale si orienta la rivoluzione, questo per far si che le velocità di risposta non siano superiori alle strategie di cambiamento.

venerdì 25 dicembre 2015

L'ultimo Natale

Ho provato ad abbracciare il cinema agli inizi degli anni duemila, quando i sistemi di editing digitale cominciavano ad affacciarsi nell'ambiente consumer, i primi software di montaggio che in qualche modo riuscivano ad essere installati nel PC. Bisognava avere dei PC ben equipaggiati, con delle schede video di tutto punto ed una discreta memoria RAM. Senza parlare dell'hard disk il quale doveva essere decisamente molto capiente. 
Bene in quell'epoca facevo i miei primi esperimenti di editing digitale acquisendo filmati da una telecamera con cassette MiniDV, uno dei primi sistemi di registrazione digitale alla portata di tutti.
Uno dei primi cortometraggi che ho realizzato s'intitola "L'ultimo Natale", dove c'è il mio amico Lello Vitello e la mia ex moglie Claudia.

lunedì 21 dicembre 2015

Fuga d'inverno

Mi impressionò il silenzio e qualche grida in lontananza, tripudianti, parevano degli "evviva" sommersi dal freddo. Ed era freddo, saranno stati si e no una decina di gradi al di sotto dello zero. Silenzio e ghiaccio. Nessun commento oltre quelle grida in lontananza. Avevo lasciato la mia abitazione velocemente, dovevo raggiungere il circolo, li mi avrebbe atteso Fiorenzo. Ero completamente incappucciato nel mio giubbotto, nascondendo il volto all'inverno, mentre il vento gelido calcava screzi sul mio volto. Erano passati soltanto pochi minuti e la bufera di sottili frammenti di ghiaccio si intensificava sino a costringermi a fermarmi sotto un piccolo porticato. Cercai, nonostante i guanti di lana, di scaldarmi le mani battendole l'una con l'altra, mentre la strada era immersa in un vortice di vento e neve che mi impediva di vedere lontano, tranne alcune sagome che attraversavano la strada in lontananza. Un attimo dopo una mano mi afferrò la spalla: "Devi andartene da qui", ebbi un sussulto e poi caddi nel panico, mi voltai e vidi il volto di una donna: " Stai tranquillo, ti conosco di vista, ti ho visto spesso al lago", aveva il naso leggermente sanguinante, biondiccia, le labbra screpolate, ma io sapevo che la situazione era gravissima, avrei dovuto raggiungere Fiorenzo. "Anche io ti ho vista, mi aspetta un amico, ti ringrazio, mi tolgo da qui...", ma lei ribadì dicendo che era meglio se andassi da tutt'altra parte. "Mi dici come mai non posso andare verso il circolo?" Lei tirò fuori una mappa sgualcita e mi indicò una zona che io conoscevo bene. "Loro sono qui e saranno da queste parti tra cinque minuti al massimo, non lasceranno piú traccia di niente al loro passaggio, ti conviene venire con me". Era convincente, per un attimo rimasi accecato dal suo sguardo, dai suoi due grandi occhi azzurri. Aveva la testa coperta da un grande cappello di lana, una grossa sciarpa bianca, un cappotto e gli scarponi anfibi, mentre il fumare della condensa del suo respiro investiva in pieno il mio volto. Iniziai a correre con lei verso una discesa che conduceva al casolare del Navicello. Li ci fermammo, affannavamo accovacciati dietro un'auto abbandonata, ci guardammo intensamente, come per scoprirci a vicenda. "Sei stanca, fermiamoci un attimo", le dissi dolcemente cercando di scoprirle gli occhi coperti da un ciuffo di capelli. "Non é un'ottima idea", disse, mentre il suo respiro si stava stabilizzando, cosí, mi tese la mano: "Senti come batte il polso", misi il mio dito indice sotto i suoi guanti, poi le strinsi la mano per rilasciarla ancora in un dolce e affettuoso contatto. "Devo togliermi i guanti?" mi chiese osservandomi dolcemente. "E' freddo lascia stare", le risposi, non nascondendo una certa voluta indifferenza. "Dai muoviamoci, raggiungiamo il boschetto, li non ci potranno vedere". La corsa fu abbastanza lunga da costringerci, almeno un paio di volte, a fermarci per riprendere respiro. Arrivammo al boschetto e lei cadde per terra stanca e stremata nei pressi di un castagno. "Ci fermiamo qui", balbettava ansimando. "Si", le risposi strozzato dall'affanno. Anche io mi buttai per terra, su quel terriccio ghiacciato, accanto a lei, adesso, ambedue guardavamo il cielo bianco. In lontananza un clamore di marcia e una serie di spari, noi due, supini, incontravamo adesso i nostri volti di lato. "Sei stanca?" "No. Ti chiami Dimitri vero?" "Si e tu?" "Veruska" "Lo sai che sei bella?" "Mi fai arrossire" "E' freddo, sei giá rossa", le dissi sorridendo. "Non possiamo stare qui per molto, potrebbero vederci" "No, non credo". Mi girai verso di lei e le accarezzai il volto, era molto freddo. Lei mi bació le dita ed io incontrai la sua bocca con la mia. Ci baciammo a lungo per poi restare vittime dei nostri dolci sensi quasi stregati dal freddo ed incuranti di quello che stava accadendo. Le abbassai i pantaloni e facemmo l'amore, lei era bellissima e si struggeva tra le mie braccia comunicandomi tutta la sua sincera passione. Adesso era giunta l'ora di riprendere la marcia, sarebbero passati anche di li, avrebbero lasciato terra bruciata. Percorremmo i sentieri del boschetto che conducevano verso le statue delle sfingi, lí vicino vi era una piccola scalinata, Veruska scivolò su una lastra di ghiaccio procurandosi un gran dolore alla caviglia. "Ti fa molto male?" le chiesi avvicinandomi per aiutarla "Abbastanza, ma non posso farci niente, non possiamo fermarci" Le tolsi lo scarpone dopo averla fatta sedere sui gradini con l'intenzione di massaggiarle la caviglia, ma appena iniziato questo dolce atto di tenera assistenza, ruppe l'incanto un grido marziale trasformando la favola in improvviso terrore: "ALT!" Uno slancio di entrambi verso il basso, Veruska correva senza uno scarpone, zoppicando, io per un attimo ho pensato soltanto a me stesso, dimenticandomi di lei e del nostro incanto, correvo all'impazzata mentre da dietro iniziarono a sparare. "Aspettami Dimitri, aiuto!", urlava disperatamente. Non mi voltai, continuai a correre, mi tuffai di lato alla scalinata, sprofondando in una siepe e rotolando giù nel sentiero in basso, coperto dalla vegetazione. Dall'alto le grida: "L'abbiamo perso, procediamo, non c'é tempo da perdere" Qualche minuto poi si allontanarono, ma io non sentivo più la voce di Veruska. Dopo un'ora uscii allo scoperto. Verusca era distesa immobile sulla scalinata senza lo scarpone. Mi avvicinai, lei mi guardava con i suoi grandi occhi azzurri, era ferita, il suo volto era freddo, le rimisi lo stivale e cercai di trascinarla dietro la siepe. Le mie mani erano sporche di sangue mentre, cercavo di medicarle velocemente quelle ferite con tutte le opzioni che avevo a disposizione, Veruska adesso stava meglio. Tentai di fare di nuovo l'amore con lei, anche perché oramai sapevo di aver perso la partita, tentai di riprendere possesso di lei calandole i pantaloni, ma un messaggio mi apparve davanti allo schermo: "OGNI GIOCATORE PUO' POSSEDERE OGNI DONNA DEL GIOCO UNA SOLA VOLTA, PER POSSEDERLA PIU' DI UNA VOLTA E' NECESSARIO SCARICARE LA VERSIONE COMPLETA DEL GIOCO"

lunedì 26 ottobre 2015

Cronaca di vita quotidiana

Propongo un cortometraggio che ho realizzato qualche anno fa, lascio a voi libera interpretazione.

venerdì 23 ottobre 2015

L'atmosfera

Quello che contraddistingue una foto non è spesso la tecnica, né tantomeno la tecnologia, ma l'attimo. L'attimo in cui anche una banale foto scattata con il telefonino può lasciar libera la fantasia di interpretare in maniera soggettiva l'immagine riprodotta.
L'inquadratura, gli oggetti ripresi, la scelta del momento associati ad un colore surreale, sono uno stimolo importante per emozionare, non importa per tutto questo avere una reflex, basta un telefonino e un po' di estro per creare un'atmosfera.

mercoledì 21 ottobre 2015

Trenta secondi per non pensare

Vi ricordate Carosello? Iniziava più o meno alle venti e trenta sul primo canale Rai, durava 10 minuti e poi finiva. Gli spot iniziavano più o meno così: "Il dentifricio Pinco pallino presenta... (scenetta) e poi la pubblicità della marca in chiusura. Erano dei piccoli spettacoli sponsorizzati, che nutrivano un vasto pubblico di adulti e bambini, questi ultimi sapevano che carosello rappresentava la fine della loro giornata e che una volta finito sarebbero dovuti andare a dormire. Sono passati quarant'anni, la pubblicità è mutata a tal punto che in soli trenta secondi sono compressi un'infinità di messaggi. Tutto è frutto di ricerche accurate; storyboard, inquadrature, colori, luci, audio, movimento, attori, trucco, tutto è al massimo. Con l'avvento dell'editing elettronico dell'immagine lo spot ha assunto un profilo altamente professionale, la velocità nella quale si susseguono le varie inquadrature è impressionante, uno spot di 30 secondi poter contenere oltre cinquanta inquadrature diverse, tutte mirate allo scopo di far conoscere il prodotto commerciale trattato. 
Non sono soltanto gli spot pubblicitari a vantare queste caratteristiche, anche i programmi radiotelevisivi stanno assumendo lo stesso temperamento, è una corsa contro il tempo, il poco tempo che i media mettono a disposizione per la comunicazione. Tutto deve essere breve e conciso, essenziale e d'impatto. Dall'altra parte, però esiste un essere umano che spesso gli autori dimenticano, dimenticano che l'uomo pensa ed il pensiero non è una corsa contro il tempo, il pensiero va oltre tutte queste cose, il pensiero non dura trenta secondi. I media non lasciano il tempo di pensare, perché l'obiettivo è quello di fare in modo che l'uomo, oramai definito esclusivamente con il termine di consumatore, ingurgiti tutto in un boccone e ritorni di nuovo davanti al media. 
Il potere commerciale ha invaso la tv, la radio, i giornali, le riviste, Internet, tutto si vende, tutto si baratta, tutto si compra. Loro si dimenticano però che l'uomo ha un grosso potere, quello di annoiarsi, quello di cambiare canale, quello di fuggire. Qualcuno ha pensato anche a questo, riducendo il più possibile le vie di fuga e costringendo la gente a correre all'interno di un labirinto dove vi è fissato su ogni parete un messaggio diverso, la propaganda coercitiva, limitando la visuale sul mondo. Esiste un'alternativa? Forse la possibilità di poter scegliere il tipo di messaggio che più ci piace anche allo scopo di arginare la noia e orientarci verso l'argomento commerciale che più ci interessa. Internet, per esempio, potrebbe essere un'alternativa perchè rappresenta una forma di riproduzione multimediale interattiva, anche se, con il passare del tempo, il potere economico sta limitando le libere iniziative di informazione, anche con leggi dedicate, perché questo? Perchè l'uomo deve consumare, non creare. Un uomo in grado di contrastare, un uomo in grado di scegliere l'informazione attraverso un computer, può dare fastidio. I grandi media sono per pochi, le nostre piccole paginette su Internet ed i social network, nei quali ancora riusciamo liberamente ad esprimerci e creare, sono l'unica risorsa dei nostri anni, spazi nei quali si può dare sfogo alla nostra creatività e al nostro pensiero, ad un patto...rimanere con un numero contenuto di visitatori, altrimenti sei morto! 
Vi ricordate Carosello? Iniziava più o meno alle venti e trenta sul primo canale Rai, durava dieci minuti e poi finiva, ma una volta finito ti lasciava il tempo di respirare.

sabato 17 ottobre 2015

La fine dei dilemmi storici

In questi giorni ho avuto il coraggio di aprire un raccoglitore, gli ultimi dieci anni di attività su Internet. Fino al 2008 usavo archiviare una copia cartacea di ogni post, non era una necessità tecnica, ma una mia fissa nel riempire il raccoglitore di ricordi. Se io avessi avuto un bel gruzzolo da investire avrei sicuramente tratto del guadagno da tutto questo, così non è stato, tutto è servito per riempire di gioia le mie giornate in compagnia di un'attività che tutto sommato mi ha permesso di rendere pubbliche le mie idee e le mie creazioni.
Mi chiedo per quanto tempo ancora  la rete sarà in grado di custodire tutto questo, le iniziative di ognuno di noi, le nostre parole, i nostri post e dai i più creativi le immagini, i filmati e le idee varie. Credo per molto tempo, in realtà i nostri dati non sono altro che un filare immenso di 0 e 1, un codice molto più elementare nella sua grafia rispetto ad una scrittura antica composta di ben più complessi fregi. Nonostante tutto vi è una grande differenza, occorre sempre una macchina dedicata per poter interpretare questo codice. L'uomo del lontano futuro, se ancora esistente, avrà le macchine idonee per poterlo interpretare? Io dico di si. L'uomo del lontano futuro avrà tutto il materiale del suo passato con riscontro esattamente certo, ampiamente documentato.
Finiranno così i processi relativi ai dilemmi storici.

giovedì 15 ottobre 2015

Ben arrivata amore


Ben arrivata amore, abbiamo un futuro davanti, posa l'orecchio sul mio cuore e senti come batte.

martedì 13 ottobre 2015

Argini

La città osservata camminando lungo gli argini del fiume assume un'altra prospettiva. Dagli argini si percepisce il passato, si osservano vecchi mulini, vecchi ponti e passeggiando più bassi rispetto alla piana cittadina si rimane isolati dal cambiamento urbano che la città ha attraversato negli anni.
Questo video che ho girato la scorsa primavera rappresenta un'insieme di piccole riprese effettuate lungo il fiume Greve. Questo fiume nasce dal Monte Querciabella a 800 metri di altitudine, da due sorgenti principali: la Fonte di Poggio alle Coste e la Fonte del Topo nel comune di Greve in Chianti in provincia di Firenze.

domenica 11 ottobre 2015

Povera nostra Costituzione

Siamo nel 2015 e osservando la nostra Carta Costituzionale mi accorgo che in breve tempo sono stati distrutti tre articoli importanti, oltre al resto che distruggeranno ancora:
ART 1 - L'italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro...
La vedo dura spiegare agli italiani che questo stato è ancora garante di quest'articolo.
ART 11 - L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...
Ci sarebbe da piangere dopo le diverse adesioni dell'Italia ai bombardamenti della NATO, anche in virtù degli ultimi interventi.
Art 32 - La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti...
Si vede che i nostri governi si sono dimenticati i numerosi tickets imposti ai cittadini, e per gli indigenti le lunghe liste d'attesa, scoraggianti, ammesso che il povero indigente non abbia un gruzzoletto sotto il cuscino per farsi curare attraverso la libera professione dei medici nelle strutture pubbliche.
I nostri padri costituenti stanno piangendo nelle loro tombe.

venerdì 9 ottobre 2015

Il mondo degli artisti


L'umore é di fondamentale importanza per un artista che per sua natura impiega gran parte delle potenzialità della propria mente al fine di dare vita alla sua opera. Spesso siamo incostanti, impulsivi, proprio nei momenti nei quali qualcosa o qualcuno tenta di inoltrarsi tra il pensiero creativo e la realizzazione dell'opera. Solo un artista puó capire un altro artista e come spesso ho ribadito, nei miei scritti precedenti, nei podcast o attraverso altre opportunità che la vita mi ha concesso, artisti si nasce e non si diventa. Vi sono rari casi nei quali una persona mai stato artista possa diventarlo in qualche modo, casi forse dovuti alla necessità di dover lavorare nel settore, ma la creatività artistica non sarà mai uguale a chi per grazia della natura la possiede sin dall'inizio dei suoi tempi. Un bimbo creativo lo si denota dai suoi scritti, dai suoi disegni, dal modo con cui si pone, dalla sua personalità e dal suo carattere, tratti indiscutibili in una visione globale della persona che è. La sensibilità di un bimbo artista e dell'uomo che diventerà sono uno dei fattori di cui un genitore e successivamente l'eventuale partner dovrà tenere conto. Spesso l'artista diventa incostante sentimentalmente perché vengono a mancare quelle regole di vita che normalmente il sistema propone come esempio assoluto, l'artista spesso non risponde a queste regole, ma fa i conti giornalmente con il proprio caos interiore e da questo lui riesce ad armonizzarne gli aspetti più contorti riproponendo magicamente il proprio pensiero attraverso l'opera. Chi non è fondamentalmente artista non riesce a capire la personalità complessa di questo genere di uomo, spesso tutto ciò viene percepito come una serie di gravi difetti che inducono al fallimento della vita di coppia o dall'impossibilità di avere un rapporto costante e tranquillo. Alcuni artisti nel loro estremo vagare, disprezzano persino se stessi in quanto notano e contestano le differenze che la propria personalità o carattere assumono nei confronti dei personaggi, delle vicende, delle storie e dei paesaggi che stanno creando, in quanto non riescono ad assomigliarvi. Per questa ultima circostanza all'artista occorre tempo, assuefazione, solitudine, distacco. Come potrebbe essere possibile per un soggetto "normale" prendere parte totalmente della vita di un artista? Tutto naturalmente è possibile, all'artista occorre un costante e fedele spettatore che sappia assistere, purtroppo, in maniera unilaterale alle sue creazioni, senza generare alcuna forma di competizione, una persona che sappia riconoscere ed apprezzare le sue creazioni, che sappia perpetuare la memoria delle sue opere, ma soprattutto che non generi competizione. L'artista sa amare, lo fa con ardore, sentimento ed emozione perché conosce l'amore come elemento essenziale per comporre le sue opere. Non si puó chiedergli, quindi, la costanza in tutto ció, ma questo è dovuto al fatto che un artista vive sulla superficie o nel cielo di diversi mondi, molti dei quali hanno principi, regole e colori spesso sconosciuti per i profani.

mercoledì 7 ottobre 2015

Camminando con il fiore


Durante la scorsa primavera ho camminato lungo argini di fiumi, tra la campagna, tra le auto della città, portandomi dietro la pancia, le braccia, le gambe e tutto il peso dei miei 48 anni. Insieme a me ho portato i miei pensieri, la mia vita, le speranze e il futuro. Insieme a me ho portato un fiore, che tengo stretto nel cuore, un fiore mosso dal vento, fragile, un fiore che innaffio ogni giorno affinché sia sempre fresco. I giorni e i mesi passano e le stagioni fanno presto a salutarci e ritornare. Finche c'è vita non mancheranno mai, ma tanto so che un giorno pianterò quel fiore nel giardino della mia vita.

lunedì 5 ottobre 2015

L'eco di Gianni


L'eco di Gianni
Racconto di Stefano Terraglia 
(Soggetto dell'omonimo cortometraggio) 

Le mie gambe non erano delle migliori in quell'anno, quasi volevano oltrepassare il loro limite per uno come me che era abituato a stare seduto sette ore al giorno dietro una scrivania dell'ufficio della mia azienda. L'aria costiera, invece, parzialmente ventilata, era quella di un'estate incerta accompagnata da un cielo parzialmente coperto, dove il sole pareva vergognarsi di guardare giù il mondo. Camminavo tra gente allegra, loro, immancabili prede dell'estate non si vergognavano come faceva quel sole tra le nubi, loro, reduci di malefatte invernali, con il petto abbronzato e le labbra morbide di burro di cacao, ignari delle mie vicissitudini, continuavano a farmi ombra. E via via che la gente passava lasciava le scie profumate di cocco, di cacao, essenze di creme che entravano nelle mie narici quasi volessero imporsi a dispetto dell'odore del mare. Camminavo sfumacchiando, discorde con tutti, discorde anche con il sole, infatti, il mio sguardo verso l'astro, ormai verso la volta del tramonto, era diffidente, così avrei voluto dirgli: “Ma chi te lo fa fare di prendertela così tanto”, invece non dissi niente. La mia tristezza non trovava conforto sul litorale, stava a metà strada tra il mare ed il cielo, precisamente sulla mia destra, sulle montagne Apuane. Infatti ero li per qualcosa di diverso, una semplice toccata e fuga in un universo che mi apparteneva fino a tre anni prima. Adesso miravo quel paesaggio montano dal litorale del Cinquale, avevo la faccia mesta, completamente fuori sincronia rispetto a quella della gente che andava su e giù sul litorale, ma non sapevo e non sentivo più niente da molto tempo. Le montagne parevano austere, tra le loro nubi, avrei creduto in loro se non mi avessero guardato con compassione, proprio come quei cipressi di Carducci, ma diversamente quelle montagne mi apparivano immutate e non cresciute. Proseguii il cammino sino all'interno, lasciando il litorale, camminai molto tra ville e villette sino alle macchie interne e ai campi soleggiati, fino a alle casupole a piè dei monti per terminare così sulla soglia della porta di quella vecchia casa che conoscevo bene e spesso mi aveva visto entrare, senza ritegno, vittima del mio insano egoismo. Suonai il campanello, una giovane donna mi aprì invitandomi ad entrare. “Ho bisogno di pernottare stasera e mangiare qualcosa” dissi. La casa pareva più un semplice appartamento che un luogo da pernottamento, lei sorrise, ma con un marcato velo di tristezza. Quella donna si chiamava Martina, viveva da sola e a quanto pareva ogni tanto si rendeva la vita meno difficile affittando una camera del suo appartamento, più che altro a turisti, lo faceva da circa tre anni. La casa consisteva in una cucina e due camere. Avevo fame e la donna non tardò a mettermi a tavola, non aveva un menù, stava preparando una semplice frittata, io la osservavo mentre ero seduto al tavolo in un angolo della cucina in attesa di essere servito mentre lei sbatteva insistentemente un uovo. Aveva assunto una posizione particolare, la mano destra che sbatteva l'uovo, il braccio sinistro lungo il corpo e la mano corrispondente protesa ad angolo retto, quasi volesse sforzarsi nella sua femminilità, quasi volesse mandare un messaggio, forse per un eventuale ed intenso dopo cena per il quale io non avevo nessun minimo interesse, stavolta. Divorai in compenso quella frittata e mentre mangiavo tentai un casto approccio: “Tu non mangi?”, le chiesi mentre lei se ne stava appoggiata al muro, “No no, mangia tu, io ho già mangiato”, poi sparì nella camera accanto. Più tardi ero solo con il mio sonno, sul letto matrimoniale della camera degli ospiti, li mi addormentai quasi subito. La mattina successiva appariva candida e pacata, la finestra dava sulle montagne ed io stavolta ero più desto del giorno prima con la voglia di sparire e raggiungere le cave di marmo a piedi. Martina entrò in camera mentre io ero ancora svestito, “Oh! Mi dispiace, torno dopo, volevo sistemare la stanza”, stavolta il mio sguardo non era quello della sera prima, stavolta avrei dovuto compiere qualcosa di più, così mi avvicinai e tentai un abbraccio, ma lei mi disse, respingendomi un po': “Sono stata cattiva ad entrare in stanza all'improvviso?”, La guardai intensamente e le risposi: “ Cattivissima”. D'un tratto la riversai sul letto ed alzatole la sottana iniziai a sculacciarla affettuosamente, lei rideva divertita come una bambina capricciosa, a me invece una lacrima stava solcando il mio volto, inconsueta, ma motivata ancora dal mio turbamento, dalle mie emozioni, dal fatto che avevo disertato la mia convinzione di non tornare più in quella casa. Adesso stavo percorrendo un sentiero che portava alle cave di marmo su quelle montagne Apuane il sole filtrava tra i rami, quasi concedendosi di più di quanto si fosse concesso sino ad allora e pareva illuminare sin troppo quelle zone ed io non ero affatto contento di quella luce così violenta che mal si addiceva alle circostanze. Arrivato al bordo delle cave, leggermente assorto nei miei pensieri rivolsi il guardo sulle pendici scavate, bianche, riflettevano tutta la violenza del sole di Giugno, mi feci coraggio ed iniziai a gridare: “Gianni!” Ovunque quel grido pareva risuonare, infatti l'eco fu pronta a sopraggiungere: “...anni...anni”, un grido disperato, quasi volessi riesumare da quelle cave una persona, quel giovane cavatore con il quale avevo condiviso anni di lavoro insieme, mio fratello. Le vecchie case di Antona, dove ero nato e vissuto, da dove avevo visto vallate desolate, dove gli inverni segnavano i volti degli uomini e delle donne che non avrebbero dovuto mai morire, da dove il pianto disperato di mia madre quel giorno maledetto irrompeva nel tardo pomeriggio di un Giugno, tre anni prima, cordoglio straziante, una volta appresa la notizia della morte di Gianni. Gianni morì mentre stava cavando il marmo, tra quelle lastre gravose, tra le braccia possenti degli altri cavatori che invano tentarono di salvarlo, il suo sorriso rivolto verso il sole bianco, verso quella luce accecante, ed io di nuovo: “Gianni!”. L'eco sembrava la sua voce, così Gianni pareva ritornare per un momento a cavallo del vento, con la sua canottiera azzurra, con il suo cappello col la visiera girata verso la nuca, con i suoi grandi occhi scuri. “Sono qua!”, eccolo che tornava, seppur con leggero ritardo, “Sono qua e ti vedo sai? Dai, fatti forza, falle di nuovo compagnia come hai sempre fatto...adesso io so, so tutto fratello mio”. Il mio singhiozzo, stremato dal groppo alla gola, incontrollabile, inevitabile, era la risposta al suono della sua voce. Mi rimisi in cammino e tornai dalla donna, al mio arrivo l'abbracciai con ardore, ma stavolta l'abbraccio era un'ambasciata proveniente dal cielo. “Come stai adesso, stai meglio?”, le dissi mentre mi stava lavando la testa, lei non rispose seguitava ad intingere le mani tra i miei capelli insaponati. “Mi ricordi il passato”, le dissi ancora cercando le sue parole a conforto delle mie colpe. “Ti aspettavo sai”, finalmente mi rispose con tono dolcissimo. Mentre mi asciugava la testa con un asciugamano, mi guardò intensamente negli occhi, “Hai gli stessi occhi di Gianni” e concluso lo sguardo intenso, così vicini, ci baciammo. “Martina io parto, vado in Australia, ho un'offerta di lavoro importante, non posso rinunciare, vieni via con me” Martina raggiunse la finestra, poi voltandosi verso di me mi disse dolcemente, ma con tono sicuro: “Non sono pronta, so che lui tornerà, un giorno busserà a questa porta e verrà a prendermi” Me ne andai così, come ero venuto, con la voce di mio fratello che dalle montagne ancora mi scuoteva dentro, con lo scempio nel cuore. Martina tornò a chiudere la finestra e lentamente si sedette sul letto.

sabato 3 ottobre 2015

La cronologia di un declino

Anni 50 - Lavoro per tutti, l'italia doveva rinascere dalle ceneri della II guerra mondiale. Tutto doveva essere ricostruito. 
Anni 60 - Le ricchezze prodotte dalla ricostruzione davano vita al boom economico, tutti lavoravano, gli operai inziarono ad essere una potenza così forte da ottenere ogni diritto sul lavoro e ogni privilegio sociale. Tutti stavano bene, le coppie facevano tanti figli. 
Anni 70 - I privilegi erano così tanti che la gente poteva permettersi di andare in pensione con 20 anni di servizio. La classe proletaria, forte e compatta, avanzava verso il potere. A USA e URSS questo fenomeno italiano non piacque per niente, Aldo Moro pagò per tutti. 
Anni 80 - La gente continuava a stare bene, i figli crescevano, andavano tutti all'università, il popolo di giovani poteva diventare un grande pericolo per il sistema, erano troppi, così lasciarono che in Italia entrassero tonnellate di eroina. La gente smise di fare figli, molti nascevano tossicodipendenti dalla nascita o con gravi patologie legate all'uso della droga da parte di quei disgraziati di genitori. Cadeva il muro di Berlino, la Germania iniziò di nuovo ad imperare. 
Anni 90 - L'eroina non bastava, occorreva un'ottima narcosi fatta di eroina ed extasy, di televisione commerciale, di discoteche techno ed altra roba....si affermavano fenomeni del tipo Silvio Berlusconi. La mafia era vicinissima al colpo di stato. 
Anni 2000 - La Germania decise di far arrivare l'Euro, il sistema iniziò piano a vacillare, non era possibile sostenere un peso sociale di milioni di pensionati, l'Italia come altri paesi europei ricominciarono a leccare il culo alla Germania. Iniziarono ad arrivare migliaia di extracomunitari che in barba ai nostri diritti del lavoro erano pronti a lavorare 12 ore al giorno per pochi euro. Lo stato cominciò a vendere tutto, le privatizzazioni iniziarono ad essere appoggiate anche dalla sinistra.
Anni 2010 - La crisi iniziò a conclamarsi sino ai giorni d'oggi. Nei prossimi anni il sistema inizierà a crollare, il mondo occidentale si piegherà di fronte alla rinascita dell'est europeo. Continuerà l'esodo dei popoli medio orientali e africani, gli stati uniti stretti nella morsa del crollo inizieranno a rispolverare le armi verso Russia, Cina e resto del mondo dal quale poter succhiare risorse. Sarà la nostra fine, non c'è speranza. Chi può scappi in Albania, Croazia, Russia, Romania e quant'altro non sia occidente, medio oriente o Africa. Abbiamo finito le pile.

giovedì 1 ottobre 2015

La narcosi collettiva

Mi sono ritrovato più volte a scrivere al proposito della "narcosi collettiva", un problema causato dalla rassegnazione, dalla perdita di ideali, ma soprattutto generato dall'informazione controllata dal potere.
Un falso buonismo da anni sta imperversando le reti televisive, alimentato dalle false lacrimucce di giornalisti e conduttori che si occupano principalmente di casi di cronaca, situazioni che lavorano al ventre di milioni di telespettatori, tralasciando ogni verità che il potere si riserva di non far trapelare.
Non far trapelare le verità spesso è una misura strategica dei poteri assoluti al fine di non far destare il dissenso tra le masse. Assistiamo così a palinsesti di informazione totalmente filo governativi, che non concedono al dissenso alcuno spazio. 
Ultimamente si percepisce anche un chiaro coinvolgimento di qualche opposizione in questo progetto di manipolazione delle coscienze, in quanto i nostri politici continuano a pretendere di regnare a vita nei palazzi, una volta stanno nel governo, una volta all'opposizione, ma sempre e comunque nei palazzi. Nomi stagnanti che da anni risuonano nelle prime pagine dei giornali, dei telegiornali, nei siti Internet di regime, nomi che tutti conosciamo, su di loro, contiamo l'avanzare dei capelli bianchi sulle loro teste e il progredire delle loro rughe. Intorno a loro un vero e proprio cast tecnico di giornalisti e presentatori che idealizza, realizza, programma e poi trasmette queste messe in scena, durante le ore migliori, per ottenere il massimo audience. 
Tutto questo produce familiarità, voci amiche, un po' com'era il Mike Bongiorno, personaggi che potrebbero essere estrapolati dal teleschermo e fatti accomodare nel salotto di casa. Personaggi che il pubblico si illude inconsciamente di conoscere e che sogna di avanzargli persino una stretta di mano o chiedergli un "selfie" insieme.
Il martellamento continuo causa la narcosi collettiva, un processo a mio avviso degenerativo della capacità di decidere, di avere una posizione propria, un processo che impedisce ad ognuno
di maturare un proprio ideale. Di questo passo non avremo più la forza per comprendere e rialzarsi, per avanzare un cambiamento, per contrastare, per dire NO.
Dipende da noi, dipende esclusivamente dalla capacità di ognuno di risalire a galla in qualche modo e tornare a respirare in superficie, la cura? Guardare altrove, dove i colori sono diversi da quell'unico grigio che procura il vomito.

martedì 29 settembre 2015

"Le tue parole" un film povero



Un film povero, povero come sono le mie tasche, ma non come la mia testa che era ricca di voglia di far cinema. Era il 2009, da solo nel mio salotto, nel mio angolo buio e fumoso, di fronte allo schermo del mio computer, mentre un'idea stava per materializzarsi. Così in sei mesi iniziai a scrivere una storia ambientata durante gli anni di piombo. Una riflessione umana più che politica. Con pochissime risorse, qualche amico, ma più che altro con la partecipazione volontaria di tre grandi attori: Carolina Gamini, Rosario Campisi e Fulvio Ferrati nacque "Le tue parole", ve lo regalo in versione completa e in alta definizione, buona visione a tutti..

Guarda il film completo su YouTube


domenica 27 settembre 2015

Il sentiero

Sul sentiero eri bella, non ti voltavi, 
non vidi il tuo volto e la nebbia lo celava quella sera. 
Uscii stanco e sentivo l'aratro scavarmi. 
Guardai nel mio cuore, vi era accoccolato un bimbo. 
Uscii stanco e sentivo la mano del padrone. 
Sul sentiero strascicavi il tuo mantello. 
Vedevi al tramonto il sole perdersi. 
Accrescevi i tuoi movimenti trasgressivi. 
Bocciato fu il mio richiamo. ...
E come pungevano i rovi del sentiero. 
Gemella del sole, io correvo ma tu mi precedevi nel mio cammino. 
Restai con il bacio del bimbo che dal cuore mi donava. 
Seduto, allora, immobile sullo sporco legno, tu ti voltasti. 
Roccia! 
Che dispetto, era il mio ritratto. 
Era lungo il suo mantello ed il bambino nel mio cuore rideva dallo stento.
 Il contatto fu gelato dai colori. 
Avevi nel volto un dispetto. 
Mordevi l'anima nostra, 
ed io dal piacere picchiavo il bambino nel mio cuore.
 Ridevi ed il mio ritratto scomparve. 
Piangeva il bambino ed il tuo mantello rigato di linfa seguiva il cammino del canto.
 Baciami, ti prego bimbo. 
E dal cuore: "Sono aspre dizioni della grande conquista"

Stefano Terraglia


Interpretazione in video 



venerdì 25 settembre 2015

Il doppiatore del lupo buono

Renato si avvió verso il piccolo bar che per anni lo aveva servito nella notte, era l'unico bar che rimaneva aperto fino alle due del mattino, dove una ragazza oramai sposa con due figli gli preparava il cappuccino di fine lavoro. Renato lavorava di fronte, come libero professionista, da anni prestava la sua voce ai cartoni animati, la sua voce dalle mille sfaccettature, ora grossa e prepotente del lupo cattivo, ora dolce e sensibile del lupo buono. Migliaia di metri di pellicola doppiati con la sua voce insieme con altri colleghi. La sua caratteristica peró era quella degli effetti sonori; fischi, sibili, espressioni, urli, era uno specialista in questo, con la sua folta barba grigia e la sua fronte spaziosa, con gli occhi di un bimbo mai cresciuto con i modi di un galantuomo. Quella notte non era felice, non si trattenne come il solito a parlare con la donna del bar, anzi non finí neanche il cappuccino. Renato si avvió verso casa, finiva sempre di lavorare tardi, ma era piú stanco del solito, anche perchè le delusioni stancano molto di piú, ti lasciano le braccia e le gambe piú pesanti del solito. Aveva terminato con quella sera l'ultima data prevista dal contratto con quello studio, con quella societá che lo aveva campato per oltre venticinque anni. Avrebbe voluto lavorare ancora un po', anche perchè aveva sempre prestato la sua voce con passione e dedizione con un amore sviscerato per quel mestiere, dimostrando un'eccepibile serietá e bravura. Non poteva piú lavorare e avrebbe dovuto rimettersi in vendita sulla piazza da solo, forse era anche troppo giovane, cinquantatrè anni, d'altronde non sapeva fare altro. Era appena arrivato a casa, si tolse la giacca e si rilassó di schianto sul divano, ma non potette fare a meno di dare di nuovo un occhiata a quella lettera che un assistente di studio gli aveva consegnato prima della fine della seduta di registrazione, una lettera da parte della societá:

  Gent.mo Signor Renato Urbani, In relazione agli ultimi accordi aziendali relativi all'acquisto di nuovo materiale tecnico per la post-produzione, abbiamo provveduto all'acquisto di un sistema computerizzato per la sonorizzazione del materiale girato. Tale sistema prevede un fornitissimo archivio di campioni sonori utili per la gestione degli effetti dei cartoni animati. Questo sistema elettronico andrá a sostituire il lavoro, da noi giudicato dispendioso, che era effettuato in fase di doppiaggio dal doppiatore e dal rumorista. In seguito a questo abbiamo dovuto rivedere alcuni contratti stipulati con i doppiatori, ed abbiamo ritenuto poco convenevole una nuova stipulazione. Con profondo dispiacere siamo costretti a dover interrompere il rinnovo del suo contratto provvedendo al piú presto alla liquidazione delle competenze previste. La ringraziamo per il suo rapporto continuo che ha avuto con questa societá, con la promessa di prendere in considerazione la sua ottima professionalitá per eventuali nostre iniziative prossime. 

 La mattina dopo, sul divano, fu raggiunto dal suo bambino, cinque anni, avuto tardi da una moglie bellissima. Il bimbo lo guardó con gli occhi supplichevoli: -Papá, raccontami la favola del lupo buono- Renato sorrise, gli occhi gli s'illuminarono, si alzó, e cominció a recitare talmente bene che il bimbo decise di rinnovargli il suo piccolo contratto d'amore.

mercoledì 23 settembre 2015

Prendiamo le distanze dal tempo

Ogni giorno quando il sole sorge e ci rinnova scopriamo che per tutti gli anni stanno passando e di una sola cosa siamo certi: di esserci.  Insieme a noi gira tutto un mondo fatto di ipocrisie, libertà violate, abusi e chiacchiere. La felicità di ognuno di noi è la felicità di tutti, ma la felicità stenta ad arrivare quando si inseguono ricette di vita. Noi stentiamo a capire che la felicità la si trova sotto una pietra o nel sentiero di un bosco, respirando semplicemente ogni giorno che viene. Non occorre illudersi di essere eletti perché la pur minima elezione non porta altro che a scoprire che siamo soltanto al primo piano di un grattacielo infinito. Non viviamo per gli altri, ma rimaniamo ben disposti verso di loro in una condivisione o discussione di idee. Lasciamo a noi stessi quel po' di segreto che non è altro che una riserva per quando gli altri non potranno essere più predisposti. Cerchiamo di essere contenti con noi stessi evitando di decidere quando e come accontentare chi ci sta vicino, ma lasciamo che sia il vicino a chiedere di essere
accontentato, l'importante è che questo vicino sia libero dalla maschera dell'ipocrisia. Rispettiamo chi lavora e non intralciamo mai lo spazio alla libertà di ognuno di guadagnarsi liberamente ed onestamente le proprie risorse per vivere tranquillamente in questo mondo. Rispettiamo chi crea e concretizza il piacere, chi ha la capacità di donare racconti ed idee su ogni tipo di supporto e nello stesso tempo prendiamo le distanze dal tempo.

lunedì 21 settembre 2015

Un campanello nella notte

Carlo aveva l'aspetto goffo, con le grosse spalle, occhiali da lettura e nel suo angolo dove per anni non aveva dato fastidio a nessuno continuava a rimanerci, imperterrito, alla conquista di chissà cosa. Circondato da libri e dalla sua lampada da tavolo che illuminava a malapena un quarto di quella vecchia scrivania, lì, per molti anni, aveva intriso d'inchiostro tutta quella carta che giaceva in fascicoli, nei numerosi cassetti la intorno. Non era nessuno, o meglio, non era mai riuscito ad essere nessuno, eppure, nel suo essere niente, sognava le luci di un palcoscenico che non arrivava mai. Adesso, senza neanche più quei capelli di donna che lo avvolgevano durante la notte.
Lei se n'era andata cinque anni fa insieme ad un tipo pieno di soldi. Carlo si era sempre rifiutato di conoscere quel tipo, di indagare in merito, era soltanto molto addolorato. Quel dolore lo percuoteva più che altro la notte, quando la luna filtrava i suoi tenui raggi attraverso le persiane di quella camera, quando sul cuscino, quella luce bluastra, non accarezzava più il bellissimo corpo di Jessica. Conquistò la sua venere dieci anni fa, tra le risate scettiche di quei quattro amici oramai dispersi, quando gli sussurravano che sarebbe durata poco, lei, incuteva battute interessate, sembrava un bocconcino di pane in mezzo ad una piazza di piccioni. La bella e la bestia, canticchiavano sulla soglia del bar, ma anche lui era scettico sin dall'inizio. Sarebbe stata una fantastica avventura, si diceva spesso tra se, quando la vedeva passeggiare, con quegli abiti succinti ed il visetto capriccioso. Sarebbe stata un'avventura degna di un bellissimo Re che ha incontrato la sua principessa, ma lui, non era né bellissimo, né tanto meno un Re.
Cercò il primo anno, però, di assomigliare ad un Re di periferia, armato di carta di credito, con un lavoro sicuro in una struttura pubblica, l'utilitaria appena lavata, con il profuma ambienti al cocco attaccato allo specchietto retrovisore interno. Le cene con lei in pizzeria, inebriate dal quel vin bianco alla spina, e poi, per finire, fuggire via veloci, incuranti dell'ora tarda, tra i cori di grilli, a finestrini aperti, nelle campagne vicine, a fare l'amore, e poi, la sua principessa tornava a casa.
La passione per lo scrivere, per il cinema e per la fotografia non stentarono ad esprimersi intorno a quel magnifico volto, e proprio di lei, conservava più di tremila scatti fotografici. Non era più tornata, affascinata forse dall'illusione di una vita più agiata, stretta da un corpo d'uomo abbronzato, curato, in una casa senza quell'odore stagnante di cipolla soffritta che rimaneva prigioniero di quelle giallognole mura con poche finestre. Dalle sue mura di casa, Carlo, era avvolto come da un mantello protettivo, sia d'inverno sia d'estate. Quel corpo un po' tozzo, con la sua testa sempre abbassata, il niente del niente, mimetizzato in quella società che lo ha mortificato quando tentò di presentare i suoi scritti a qualche concorso, ma di cosa scriveva, be', lui creava da sempre.
Creava di racconti, creava di soggetti, creava spesso per il cinema che mai aveva girato un metro di pellicola per lui, creava d'immagine attraverso un computer e si commuoveva quando finiva le sue opere ed aspettava, ebbene aspettava che lei tornasse, che tornasse per sempre da lui. Erano passati cinque anni, ma quando arrivava la notte lui non si dava pace, stringeva il cuscino tra i denti, si lasciava rotolare nel letto e ad ogni rumore d'auto che sopraggiungeva da fuori lui poi immaginava un possibile suono di campanello, il suo ritorno di notte: "Se la mia scelta sarà sbagliata tornerò a casa, lo farò di notte, così sarai sicuro che sono io, tu sceglierai se aprirmi o meno" così lei disse. Una notte, dopo essere stato per ore ed ore a scrivere, decise di andare a letto, e più tardi, mentre costruiva le sue illusioni prima di prendere sonno, la sua fervida immaginazione si materializzò e come per incanto, il campanello suonò in piena notte. Stentava a credere a quel suono ed era paralizzato da un ansia che gli faceva ballare il cuore in gola a limite della sopportazione. Lui in pigiama corse al citofono, e, balbettando, domandò, chi era, nessuno. Nessuna risposta. Ancora domandò chi era, e non ottenendo riposta, si precipitò verso l'ascensore per scendere giù nell'ingresso del palazzo forse dal citofono non era stato capito forse Jessica, era tornata, ma non rispondeva al citofono. Arrivato a piano terra si diresse velocemente ansimando verso il portone, nessuno. E fuori? Nessuno. Si guardò intorno, non voleva cedere a quell'improvvisa delusione così decise di cercare ancora di più, attraversò velocemente la strada intontito, accecato, si, accecato anche dai fari di una macchina che sopraggiungeva velocemente e che lo travolse. Erano le tre e trentacinque. Per un attimo sullo sfondo della strada vide chi aveva suonato nel cuore della notte, un gruppo di ragazzetti ubriachi, si divertivano a suonare alcuni campanelli per poi scappare, ma lui era per terra, mentre la vita gli sfuggiva per sempre di mano, in pigiama, vittima di una scorribanda tra le più ingenue, beffeggiato e condannato a morte da un gruppo di ragazzetti bontemponi. Mentre un uomo tentava di porgli soccorso, Carlo se n'andava per sempre, senza aver concluso un bel niente.
Lei arrivò mezz'ora più tardi.

sabato 19 settembre 2015

...e gli USA stanno a guardare


A volte ci sono cose che mi fanno pensare, osservando il mondo, guardandomi intorno, leggendo un po’ ovunque le notizie che riguardano le politiche estere dei paesi più industrializzati e traggo alcune conclusioni, forse un po' azzardate, ma credo sensate e di triste attualità.
Non riesco a capire il motivo per il quale gli Stati Uniti D'America non siano intervenuti più di tanto sul fenomeno dei migranti che raggiungono l'Europa, magari offrendo la loro collaborazione  o manifestando il loro intento ad un'eventuale ospitalità di questa gente.
Se noi diamo uno sguardo alla storia ci accorgiamo quanto siano stati coinvolti gli USA nei conflitti mediorientali, sia bellici che economici. Senza parlare dell'Africa, dove gli Stati Uniti soddisfano il 14% del loro fabbisogno di petrolio. Se poi analizziamo la manipolazione politica che gli americani hanno esercitato in Iraq, Iran, Palestina ecc. ci rendiamo conto inevitabilmente che sono stati altamente corresponsabili della destabilizzazione mediorientale.
Oggi quella povera gente che ha vissuto tutto il degrado politico ed economico, che ha vissuto il dramma delle guerre conseguenti alle scelte politiche di gran parte dell'occidente dove gli USA sono stati ampiamente coinvolti, tenta disperatamente di fuggire, ma stranamente quel continente grasso fatto di pop corn, palloncini e burro di noccioline, sta a guardare. Un territorio di quasi dieci milioni di chilometri quadrati non è stato offerto per ospitare un po' di quella migrazione causata da scelte dove gli Stati Uniti D'America sono stati ispiratori, autori e in questo caso, spettatori.

giovedì 17 settembre 2015

Le roccaforti del sistema

Individuare quelle che sono le roccaforti del nostro sistema non è difficile. Basta pensare a tutte quegli organi ben abbarbicati al suolo della nostra Italia di cui se ne conosce in maniera insufficiente il loro funzionamento, l'articolazione, la funzione e spesso anche l'esistenza. La SIAE per esempio è un ente economico pubblico a base associativa esclusivo e sotto il diretto controllo del sistema, deputato alla tutela e all'intermediazione dei diritti d'autore. Il funzionamento è molto complesso e prevede obbligatoriamente l'iscrizione di ogni artista che vuole tutelare un opera e successivamente riscuoterne i proventi relativi alla distribuzione. L'iscrizione e l'adesione è aperta a tutti, ma le modalità di registrazione e dichiarazione dell'opera sono incomprensibili, legati ancora a terminologie obsolete e fuori uso, nella musica per esempio si parla ancora di "riproduzione meccanica" relativamente alla produzione di CD. 
La SIAE è una macchina a mio avviso lentissima, con tempi relativi alla registrazione delle opere lunghissimi e scoraggianti. Esistono pochissime alternativa alla SIAE per un autore, se non quella di aderirvi nelle diverse forme, naturalmente pagando una una quota associativa di diverse decine di euro, un'inezia per un artista famoso, tanta roba per un artista sconosciuto. Non voglio entrare nel merito del funzionamento di altre roccaforti di sistema, alcune chiamate semplicemente pubblici registri, ne esiste uno anche per il cinema. Provate a documentarvi su come fare per avere un visto censura relativo ad un vostro film o per fare in modo che questo sia ufficialmente esistente, in questo caso il ginepraio fatto di moduli e domande, certificazioni, e burocrazie vane è ancor di più scoraggiante. Liberare gli artisti da tutto questo e semplificare le procedure credo sia diventata un'esigenza moderna, proprio nel momento in cui la rete si afferma come interfaccia tra il cittadino e le istituzioni.

martedì 15 settembre 2015

Un sogno al passato

Questo nuovo cortometraggio, realizzato insieme ad Alessandra Lombardi, è un ritorno con grande entusiasmo a quel genere di cinema sperimentale che avevo abbandonato da un po' di tempo. Un ritorno piacevole anche perché Alessandra aveva già preso parte in passato ad opere cinematografiche sperimentali, insieme all'artista Andrea Dami. Una compagna d'arte che oltre ad aver recitato, più che altro con impegno mimico, porta con se un grande bagaglio di esperienza di danza classica e rock acrobatico.
Il cortometraggio è un continuo vagare nel surreale, in un passato mai vissuto, sfidando il richiamo di un'entità che stenta a farsi riconoscere, un passato che con molta probabilità risiede in un profondo inconscio pieno di misteri. Un passaggio tra l'irreale ed il reale attraverso un estremo tentativo d'uscita che il personaggio raggiunge con convinzione e successo percorrendo un percorso obbligato verso un traguardo sicuro.
Nel finale viene sottolineato che i sogni sono esperienze ripetibili e la voce che rappresenta l'entità ignota lo sa benissimo.
Le location sono ben riconoscibili: l'abbazia di San Galgano e Chiusdino, in provincia di Siena.


domenica 13 settembre 2015

Non sono un giornalista, sono un blogger

In Italia, patria da sempre delle corporazioni, bisogna fare una netta distinzione tra giornalista e blogger, perché? Perché in teoria il giornalista può pubblicare ed il blogger no. Ma che strano, dal momento che ognuno può aprire un blog, che ognuno può scrivere le proprie idee, che ognuno può aprire un sito Internet. L'articolo 21 della nostra Costituzione inizia così: "Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione...", quindi letto questo articolo tutti potrebbero scrivere, invece in realtà tutto si complica. Alcune leggi successive hanno fatto in modo che soltanto i giornalisti e i pubblicisti ancora ad oggi possono scrivere su una testata giornalistica. In Italia un sito Internet, se vuole fare informazione periodica, dovrebbe registrarsi presso il tribunale territoriale di competenza, ma questa registrazione è riservata soltanto ai giornalisti ed ai pubblicisti. Se volete togliervi la curiosità basta dare un occhio in calce alla prima pagina dei principali siti che fanno informazione e sicuramente troverete il numero di registrazione presso il tribunale.
La registrazione presso il tribunale potrebbe essere anche concepibile dal momento che chi fa informazione dovrebbe essere fonte autorevole, il problema è il requisito principale, bisogna essere giornalisti o pubblicisti. Mi chiederete sicuramente come si fa a diventare giornalista o pubblicista, in questo caso vi rispondo che tutto si complica. La differenza tra giornalista o pubblicista è minima, il primo è un professionista che svolge il proprio lavoro in maniera continuativa, il secondo può svolgerlo soltanto come attività ausiliaria. Chiunque può diventare giornalista o pubblicista, non occorrono titoli di studio, ma per accedere agli esami presso l'ordine dei giornalisti vi è un iter paradossale e scoraggiante. Uno dei requisiti, oltre a non aver riportato condanne penali, è quello di aver percepito compensi per ben due anni da una testata giornalistica (stampa, radio, tv od altro) a seguito dei propri articoli pubblicati o trasmessi, per questo requisito fa fede la documentazione dei pagamenti emessa dalla testata. In parole povere soltanto in pochi potranno fare il giornalista o il pubblicista, ammesso che qualcuno non si accordi con un giornalino di quartiere con compromessi al limite del legale. Molti ormai conoscono questo iter e spesso chi vuol provare ad intraprendere la strada del giornalismo, ammesso che non sia figlio d'arte, ci rinuncia per sfinimento strada facendo. Ed i bloggers? Io per esempio per il momento scrivo, ma evito di dare una cadenza periodica ai miei articoli che diventano così considerazioni di vita quotidiana. Mi raccomando però, citate sempre le fonti delle vostre notizie, se parlate di fatti, persone, eventi accaduti.

sabato 12 settembre 2015

La giornalista che prende a calci i migranti

Mi ha veramente sconvolto il caso Petra Làszlò, la giornalista ungherese che ha sgambettato e preso a calci alcuni migranti vicino al villaggio di Roske.
Ecco un breve episodio radio dedicato.

venerdì 11 settembre 2015

New York, 11 Settembre 2001

Eppure guardando questo documentario mi sono spesso soffermato a riflettere, osservando ogni fotogramma interessante, cercando di interpretare ogni intervista e guardando attentamente ogni filmato.
Dopo averlo visto per ben cinque colte ancora mi chiedo cosa veramente sia successo quell'11 Settembre a New York.

giovedì 10 settembre 2015

La RAI porta la mafia in TV

Stento a crederci e mi vergogno di essere italiano. Un servizio pubblico, la RAI, alla quale versiamo oltre cento euro annui di canone, solo per una questione di audience ha permesso a Vespa di invitare i familiari di un mafioso nella trasmissione "Porta a porta". Pensate al regalo che hanno fatto a questa famiglia, la visibilità a milioni di italiani, togliendo lo spazio televisivo ad iniziative importanti, ad artisti d'eccezione, alla vera informazione e al dissenso della gente onesta che lavora, che non ruba, che non spaccia droga, ma che è sobbarcata da tasse e da mille problemi. 
Ma come si fa a parlare di informazione contribuendo a rendere ancor più popolare questa gente. Non è bastato il vergognoso funerale svoltosi sotto il silenzio delle autorità, non è bastato un elicottero a sorvolare Roma in barba alla sicurezza, senza autorizzazione, mentre lanciava petali di rose sopra una folla di delinquenti? No, non è bastato e in questo caso la RAI non può di certo dichiarare che non sapeva. Questo affronto ai cittadini onesti di questo povero paese è un'ulteriore dimostrazione di un potere marcio, corrotto, che si firma in questo caso dichiarandosi spudoratamente para mafioso attraverso la televisione. Arriverà anche il giorno della riscossa, perché prima o poi dovranno rendere conto a tutti. Mi appello ai giovani, svegliatevi ragazzi, che il futuro è vostro, non permettete che le vostre coscienze vengano storpiate da questa melma di potere.

mercoledì 9 settembre 2015

Sempre più poveri, sempre più ricchi

E' arrivato il momento di prendere coscienza che il divario tra ricchi e poveri é oramai a livelli ben conclamati. Tutto si ripercuote sulle nostre povere tasche che ogni giorno sono sempre piú misere. Anche cercando di impiegare ogni risorsa umana presente in una famiglia che possa contribuire all'incremento del reddito, a malapena riusciamo ad arrivare alla fine del mese. Ogni bene di largo consumo ha assunto pian piano un valore enorme, una specie di insano malefico giro economico ci ha costretti non solo a bruciare le materie prime, ma a distribuirne i proventi in maniera troppo differenziata. É matematicamente impossibile perpetuare questo stato di cose presenti e da qui il crollo della media borghesia, quella fascia di dipendenti e sottoposti che hanno assicurato all'Italia entrate sicure e dai quali spillare direttamente dalla busta paga. Per quanto riguarda i poveri, i disoccupati, i giovani pagheranno direttamente con il concetto di non essere retribuiti in quanto non hanno e non troveranno facilmente un lavoro sicuro. Anche nell'arte la crisi é evidente, nel cinema industriale per esempio, come nella televisione, ci sono artisti che riscuotono cifre astronomiche, mentre il contorno fa la fame. Di riflesso a ciò nasce il desiderio, il sogno di vita principesca nei cuori di coloro che sperano e credono di fare successo. Il successo dell'artista é il suo pubblico, non la ricchezza economica nella quale alcuni celebri nomi, tra l'altro, hanno perso la vita, quel pubblico che sa apprezzare l'artista, che sa farlo vivere bene, un pubblico che può guardarlo con meno diffidenza, un pubblico coinvolto principalmente nell'anima e non soltanto nella rappresentazione.

lunedì 7 settembre 2015

Vuoi fare la fotomodella?

Eccolo, si presenta: uomo di circa quarant'anni, abbronzato, camicia bianca, orologio da qualche migliaio di euro al polso, automobile "figata" e aspetto affascinante. Si presenta ad una ragazzina qualunque che ha compiuto diciotto anni, magari la incontra in discoteca, oppure la contatta su Facebook e le chiede se vuole fare la fotomodella. Le parla di successo, di cinema, di televisione, di pubblicità, di giornali, di riviste, di poster pubblicitari e la invita ad incontrarlo nella sua agenzia.
L'agenzia del "tamarro" di solito ha sede in uno di questi palazzoni della periferia industriale della città, dove affittano uffici a ottanta euro al giorno, dove all'interno esiste una scrivania ed un computer, ma soprattutto diverse fotografie incorniciate ed attaccate al muro che ritraggono il "tamarro" insieme a personaggi famosi dello spettacolo. Molti di questi agenti truffatori riescono in qualche modo ad entrare alle rassegne di spettacolo, ad avvicinare i vip e a farsi fotografare insieme a loro, come d'altronde chiunque riuscirebbe a fare se dotato di un po' di sfacciataggine. Quelle foto sono indispensabili per affascinare ancor di più le ragazzine, così il "tamarro" spiegherà che con quella gente famosa ha sempre avuto rapporti fraterni. L'agenzia chiaramente ha un sito internet, fatto apposta per restituire maggior credito alla pseudo azienda, un sito dove esistono informazioni pressoché fasulle. Il millantatore spiega alla ragazzina che per fare la fotomodella occorre un book fotografico, vale a dire un album di se stessa utile per mostrare ai vari produttori, fotografi, registi e chi più ne ha più ne metta. Chiaramente realizzare un book ha un costo, così il "tamarro" d'accordo con un amico fotografo con il quale divide i guadagni, provvede a far realizzare il book alla futura fotomodella. La ragazzina dovrà sborsare come primo passo circa cinquecento euro per pochi scatti fotografici, roba che un appassionato di fotografia farebbe ugualmente bene. Una volta stampato il book, il "tamarro" la invita a fare ulteriori copie del lavoro, questo perché è necessario spedire il book anche fuori città, fuori regione, all'estero e così via. Le copie ulteriori chiaramente hanno un costo ulteriore, così la ragazzina spenderà altri soldi. Passato del tempo l'agente in camicia bianca contatterà la modellina e le farà fare un servizio fotografico, magari per un'azienda di vestiti cinese o russa con il nome della marca scritto in lingua locale, (親密 - интимный), questo per arginare la ricerca su internet, così nessuno saprà mai se questa marca esiste davvero o meno. Per dimostrare la sua "serietà" il "tamarro" pagherà il servizio fotografico alla ragazzina, con una cifra molto inferiore rispetto a quella spesa per fare il book e tutto il resto. In un secondo tempo, il millantatore, facendo forza sul fatto che comunque le ha procurato del lavoro, la inviterà ad aprire un sito internet da dedicare alla promozione della sua immagine di modella. Il sito internet chiaramente ha un costo che varia dalle cinquecento euro a qualche migliaia di euro, così la ragazza, per non perdere contatti e fama, accetterà. Arriverà successivamente un secondo lavoro per la malcapitata, uno spot pubblicitario, chiaramente fasullo, che non sarà mai editato ne pubblicato, ma soltanto registrato in uno studiolo di periferia. Ed anche in questo caso la ragazza sarà pagata molto meno di quanto ha speso per la sua promozione. 
Dopo un paio di lavori la povera illusa non sarà più contattata.
Ah, dimenticavo, molti di questi millantatori fanno firmare contratti esclusivi, così le ragazzine non potranno rivolgersi a nessun'altra agenzia per tutto il tempo previsto dal contratto.
Ecco la triste tabella dei risultati:

COSTO DEL BOOK Euro 500
COSTO DELLE COPIE Euro 200
COSTO DEL SITO INTERNET Euro 500
Totale spesa: Euro 1200

GUADAGNO DAL SERVIZIO FOTOGRAFICO Euro 150
GUADAGNO DALLO SPOT PUBBLICITARIO Euro 200
Totale guadagno: Euro 350

A conti fatti l'uomo di circa quarant'anni, abbronzato, camicia bianca, orologio da qualche migliaio di euro al polso, automobile "figata" e aspetto affascinante si metterà in tasca 850 Euro. Naturalmente moltiplicati per ogni poverella che si illude di fare successo.

sabato 5 settembre 2015

Italiani popolo di migranti

New York - Litte Italy - 1900

I nostri primi italiani a migrare furono i settentrionali, tra il 1876 e il 1900 e mi riferisco proprio a quelle regioni dell'Italia che da più di vent'anni paradossalmente, hanno dato origine a partiti politici chiamati "Lega Lombarda, Lega Veneta, Lega Nord" e così via. Soltanto successivamente iniziò la migrazione dei popoli del nostro  meridione, con flussi importanti, d'altronde l'Italia era una terra povera come lo sono adesso L'Africa e gran parte del Medio Oriente. Questi popoli, così come noi un tempo, giustificati dalla fame e dalla guerra,  oggi disperatamente cercano di raggiungere l'Europa nella speranza di una vita migliore. 
Gli Italiani migrati all'estero negli ultimi 140 anni sono stati complessivamente 29.036.000, circa la metà della nostra popolazione attuale. Abbiamo migrato in condizioni disperate, spesso da clandestini, portavamo le nostre valigie di cartone, venivamo messi in quarantena per la profilassi delle malattie contagiose e se vogliamo essere precisi abbiamo migrato anche con un bel po' di delinquenti. Negli Stati Uniti siamo stati capaci di insediare le peggiori mafie con a capo boss di prim'ordine: (Lucky Luciano, Al Capone, Frank Capone, Frank Nitti,
Frank Costello, John Gotti, Joe Masseria, Johnny Torrio, Joe Petrosino, Giuseppe Pietro Morello (Piddu), Vincenzo Mangano, Joe Profaci, Vito Genovese, Albert Anastasia, Big Jim Colosimo, Nick Gentile, Joseph Magliocco, Joseph Colombo, Joe Gallo, Carlo Gambino) e così via. Ho preso per esempio gli Stati Uniti, ma potrei fare altrettanto per altri paesi, tra cui Argentina, Venezuela, Brasile, Germania, Belgio, Francia e che più ne ha più ne metta.
Tutto questo deve farci riflettere che oggi è arrivato il momento di comprendere che la nostra Italia di un tempo non era differente dell'attuale Siria, Nigeria, Eritrea, Pakistan, Bangladesh, ecc. La nostra Italia un tempo fu reduce da un novecento fatto di guerre, carestia e povertà, così la gente fuggiva, rifugiandosi ovunque, in cerca di un lavoro, di pace e serenità. Non è escluso che fra qualche tempo, per noi italiani, si debba ripetere quest'avventura.

venerdì 4 settembre 2015

L'era del piccolo dissenso

Le nostre lotte, il nostro dissenso, si è ridotto veramente ai minimi termini. Sempre più spesso vediamo nelle strade piccoli gruppi di persone, sotto la bandiera di un piccolo partito sconosciuto, di un comitato, di un'associazione, che protesta per conto proprio. Piccole manifestazioni di cento, al massimo duecento persone, organizzate in date diverse, in quartieri sconosciuti, in circostanze di mancanza di visibilità. Questa è la nuova Italia del dissenso, fatta di bandierine di tutti i colori, rosse, verdi, arancioni, arcobaleno, ognuno che protesta per conto proprio, con palloncini, con stelle filanti. Tutti in fila, tutti educati, con un esercito di agenti di pubblica sicurezza in tenuta da sommossa sempre dietro, pronti a tirar manganellate appena qualcuno non rispetta le regole della pubblica piazza. Tutto questo a mio avviso non serve a niente. In Italia manca un grande partito, un grande sindacato, un grande ideale che possa essere sufficiente per unire il dissenso e in un certo senso mettere in difficoltà il potere. I diritti più importanti dei lavoratori, delle famiglie, dei cittadini, si sono ottenuti quando esistevano grandi partiti all'opposizione, dei veri partiti che facevano l'interesse delle masse e non delle tasche dei propri esponenti. La storia ne è testimone, i nostri padri lo sono ancora di più quando parlano delle loro lotte, delle vittorie sindacali, del patrimonio che ci hanno lasciato.
E Adesso? Tutto ci viene tolto, pian piano, ogni diritto conquistato con lotte disperate scompare e la cosa che più fa pensare è che scompare senza un grande dissenso. Mentre ogni conquista viene cancellata, la gente non riesce ad organizzarsi. Solo qualche uomo o donna di buona volontà riesce a tirar su quel girotondo di bandierine che fa tenerezza di fronte alle roccaforti del potere. 

mercoledì 2 settembre 2015

La ringhiera del ponte

Passeggiavo con mia moglie a braccetto, lungo quella strada, era molto freddo ed indossavamo abiti molto pesanti. Mia moglie camminava alla mia sinistra, il nostro fiato evaporava in quella rigida atmosfera invernale e camminando ci scambiavamo qualche fugace sorriso. Tra di noi un dolce silenzio, lei era sempre stata un tipo silenzioso, con i suoi capelli biondini, eternamente giovane, col suo piccolo volto rosa dalla pelle delicatissima e quasi sempre arrossata dal freddo. Io ero avvolto dal mio grande cappotto oramai vecchio di oltre dieci anni e lei indossava un vestito marrone con un collo di pelliccia. Ambedue eravamo avvolti da una sciarpa, lei indossava il suo cappellino di lana ed io avevo il colbacco scuro, anch'esso molto vecchio, ma ancora utile. Era domenica mattina e non si lavorava, sposati da dodici anni, ogni domenica facevamo la stessa passeggiata. Purtroppo senza figli, soli, in un'esistenza fatta di sorrisi e carezze, ambedue figli unici senza più genitori. La nostra piccola, ma calda casa, le nostre tre piccole stanze, la nostra cucina oramai vissuta nella consuetudine giornaliera e nel rispetto dell'orario del pranzo e della cena, l'eterno odore di cipolla soffritta. Le nostre sedie, in legno, impagliate e ben conservate grazie alla meticolosità di mia moglie, mostravano, nonostante tutto, i segni di dieci anni di uso giornaliero, la paglia stava cedendo sfogliandosi. Il nostro piccolo bagno con la saponetta rosa sul lavandino, ed il nostro salottino con il divano in stoffa verde, ancora rivestito da un telo di colore avorio con i girasoli disegnati da una vecchia amica. Assaporavamo ogni domenica mattina la semplicità del nostro piccolo quartiere popolare, con quella strada grigia che tramite un ponte attraversava il fiume uscendo dagli ultimi isolati. La ringhiera di quel ponte, di colore marrone, fredda, l'accarezzavo quasi fosse un percorso di mano obbligato, così ne sentivo ogni volta le screpolature dello smalto deteriorato dal tempo. Era comunque una ringhiera di ferro massiccio, costruita per non distruggersi mai, per non essere mai sostituita. La nebbia, che nei nostri lunghissimi inverni regnava perenne, mi impediva, dal ponte, di notare l'enorme distesa campestre che si poteva mirare ogni volta che era sereno. Il nostro quartiere, la nostra vita, il nostro mondo con le nostre abitudini, che davano a me e a mia moglie una sicurezza ed una serenità incredibile. Al ritorno da quella passeggiata era sempre l'ora del pranzo, e la domenica, cucinavamo la carne, due belle fette di carne ed una minestra di verdure, poi la frutta ed il dolce fatto con le uova, buonissimo, che lasciava fino a sera quel profumo di vaniglia per tutta la casa. Il pomeriggio ascoltavamo la nostra radio, coricati sul divanetto, con il programma di musiche popolari, lei con il suo capo biondo reclinato su di me nel suo leggero sonno, con la pelle profumata di saponetta, io con le sue mani nelle mie, le sue piccole mani, così esili, ma provate dal tempo e dal bucato fatto a mano nella piccola vasca da bagno, quel bucato che fresco ogni giorno indossavo. Quel giorno, come mille altri, assaporavamo i nostri piaceri, come per rito, nell'essenza di una vita semplice, ma sicura, nel calore del nostro piccolo grande mondo. Eravamo felici e complici nel degustare ogni cosa, dal piccolo quadretto con le piramidi sistemato nell'ingresso, al dolce della domenica. Ma più che altro vi era la sicurezza di avere un lavoro che ci teneva impegnati tutti i giorni e l'essere coscienti che quel lavoro non era una condizione, ma una partecipazione attiva. Il nostro lavoro, la nostra piccola casa, la nostra vita. Oggi tutto questo è un'incertezza. Non è più una certezza il nostro lavoro, la nostra casa, la nostra vita. Non è più una certezza il dolce della domenica. La ringhiera del ponte l'accarezzo ancora, nel mio percorso di mano obbligato, dentro quel ferro è racchiusa tutta la mia primavera.

martedì 1 settembre 2015

La torta di fine anno scolastico

Martina faceva la quinta elementare, viveva con la mamma ragazza madre, suo padre non lo aveva mai conosciuto. Il profumo di quella casa nella quale Martina viveva era di costante tenero garbo alimentare, a volte cioccolato, a volte sedano o cipolla, ragù, patatine fritte e quant’altro di buono poteva preparare nella fantasia culinaria la mamma Stefania. Martina adorava sua madre, giovane e bella, sempre di fretta per il suo lavoro di segretaria, piccola ma non eccessivamente grande, tenera e giocosa, sempre sorridente. Martina ricordava quel giorno quando poi la madre perse il lavoro e successivamente il suo amore, quell’ uomo che compariva e spariva, grande, con la barba, che portava sempre allegria e giocattoli. In quel tempo la primavera cominciò a farsi sentire, farfalle e margherite cambiarono la scenografia del campo la vicino, ma la cinghia intorno a quella parsimonia sempre più evidente a causa della scarsità di soldi, non rasserenava di certo quelle giornate. La mamma piangeva spesso, nell’angolo della camera, seduta sul letto, ma anche se negava i suoi occhi lucidi, Martina la vedeva e le faceva mille domande. 
La quinta elementare stava finendo e intanto si avvicinava l’ultimo giorno di scuola, Martina era emozionata. La mamma le stava vicino, cercando di aiutarla per le ultime verifiche, anche perché le aveva promesso un dolce buonissimo da portare a scuola per la festa di fine anno scolastico. La bimba studiò così tanto che prese un giudizio strepitoso a seguito della sua ultima verifica di italiano, lei voleva quel dolce, il suo desiderio di far assaggiare la torta di mele della mamma ai suoi compagni di scuola era il suo obiettivo, la sua gioia. 
Così il giorno prima della festa Stefania preparò una torta di mele enorme, impiegò tutto il pomeriggio per terminarla, comprò mele prelibate di prima scelta ed aggiunse tanta marmellata per renderla ancora più gustosa. Avendo ricominciato a lavorare da poco riuscì comunque a prendere un giorno di permesso per ottemperare alla promessa che aveva fatto alla sua bambina, la torta di mele. Il giorno dopo incartò la torta con carta verde, perché disse che il verde era il colore della speranza, un buon auspicio per le scuole medie, così fatto, accompagnò sua figlia a scuola tenendo con le due mani la grande torta. Con un sorriso enorme e con il fiatone la mamma e la bambina finirono di salire le due rampe di scale che conducevano all’aula scolastica già addobbata per la festa di fine anno e vi entrarono con la torta. 
Nessuno dei bimbi esultò alla vista della grande torta incartata di verde, anzi, la maestra si fece avanti e chiese alla madre cosa contenesse quel pacco. La maestra, saputo del contenuto, gentilmente invitò la madre di Martina a non consegnare la torta. Il regolamento scolastico prevedeva per la condivisione di alimenti, cibi esclusivamente confezionati e non preparati a mano. Vani furono i tentativi della madre di Martina di spiegare che la torta era stata preparata con ingredienti freschi. La torta tornò indietro. 
Martina iniziò a piangere, era incredibile che una torta del genere non potesse essere mangiata, quella torta preparata con tanto amore dalla mamma per tutti i bambini. La salutò con gli occhietti arrossati, ma la mamma sorridendo sempre, non mostrò alcun segno di imbarazzo tanto che se ne tornò a casa da sola con la grande torta sorretta con due mani con il sorriso di sempre. Quell’enorme pacco copriva i capelli biondicci della donna, le copriva lo sguardo, la visuale, la strada che attraversava.
 Stefania urtò un ciclomotore parcheggiato male appena vicino al marciapiede, la torta cadde per terra sfilandosi dalla confezione, era così fresca che si disfece sull’asfalto. Subito dopo, il passaggio di un paio di automobili, resero tutta quella bontà una poltiglia sulla strada. Se ne tornò a casa, aprì la finestra e respirò profondamente, la vita doveva comunque continuare serena con la sua bambina, il suo cuore adesso batteva forte, la sua anima di piccola grande donna si mescolava tra gli odori di una nuova primavera.

sabato 29 agosto 2015

Meglio poveri e ignoranti

Una delle caratteristiche principali di ogni popolo, dalla preistoria sino ai giorni d'oggi è stata quella di conquistare i propri spazi vitali e di esercitare su di questi il proprio predominio. L'ordinamento del predominio, dai capi tribù sino alle moderne democrazie, viene comunque gestito da pochi, ovvero da eletti, da rivoluzionari che hanno conquistato il potere, da famiglie reali, da militari o da qualsiasi altra persona o gruppi di persone che hanno le chiavi delle armi e la licenza di amministrare il patrimonio dei
loro popoli. Gli spazi vitali dei più forti, con il tempo sono cresciuti di dimensione ed hanno incontrato altri popoli, fronteggiandoli, inglobandoli, convertendoli alla propria religione. Tutto questo con strategie di ogni genere, una delle più usate è stata ed è tutt'ora la guerra. I popoli più forti si sono insediati con la forza nei territori più prosperi, sterminando gli indigeni, reclutando schiavi, proprio dove la materia prima poteva servire a qualcosa di più che cibarsi, dal momento che la pietra non era più idonea per costruire armi efficienti. Occorreva il ferro, una delle risorse che ancora oggi è indispensabile per l'apparato militare di ogni popolo, i territori occidentali sono ricchi di miniere di ferro, un po' anche per la posizione dei continenti, vicini al polo nord. Con il ferro e successivamente con il carbone l'uomo ha costruito e avviato le macchine, cavalcando le grandi ere della rivoluzione industriale, servendosi più che altro dell'energia del vapore ottenuta mediante la combustione del carbone che scaldava l'acqua nelle caldaie delle fabbriche, delle locomotive, delle navi. Con lo sviluppo dell'energia elettrica si sono costruiti motori ancora più efficienti e i combustibili che occorrevano per muovere il mondo delle macchine si orientavano sempre di più verso il petrolio. Il petrolio è un combustibile fossile che si ottiene tramite estrazione ed i processi di estrazione sono comunque processi industriali. Per natura il petrolio è riserva di grandi giacimenti sparsi un po' ovunque in tutto il mondo, ma concentrati più che altro in medio oriente, in africa, insomma in zone climaticamente calde. 
L'occidente rendendosi conto dell'insufficienza di questo combustibile nei propri territori, indispensabile per il funzionamento dell'industria e dei mezzi di trasporto, ha pensato bene di estendere il proprio predominio verso territori molto lontani da noi per religione e costumi. Sono iniziate così le guerre più importanti dell'ultimo secolo motivate sempre e comunque da motivi economici e espansionistici. Le colonie sono state vani tentativi di conversione dei popoli mediorientali, quindi l'unico modo per avere le risorse energetiche a basso costo era lasciarli nell'ignoranza e nella povertà. Lasciando che questi popoli si arricchissero di conoscenza, che prendessero coscienza dei propri diritti sul lavoro e quant'altro potesse renderli meno schiavi, sarebbe stato deleterio per l'intero occidente. I costi di estrazione del petrolio sarebbero stati molto più alti in quanto la mano d'opera sarebbe costata molto di più. La conquista dei diritti sul lavoro che in occidente si è affermata grazie alle rivoluzioni, alle lotte sindacali, agli ideali moderni espressi in origine dal socialismo, dal comunismo e successivamente dalla maturazione del concetto di lotta di classe in generale, ha prodotto una risposta concreta: l'aumento del costo del lavoro. Il potere occidentale non essendo riuscito a mantenere nei propri popoli il concetto di schiavitù, non contemplato apparentemente nelle logiche democratiche, ha preferito mantenerlo altrove. Così l'occidente ha scoperto che nella povertà e nell'ignoranza l'uomo può rimanere per sempre schiavo e per mantenere un uomo schiavo occorre che sia costretto ad esserlo. Solo i regimi autoritari, sorretti da religioni interpretabili a misura di potere, possono mantenere questo stato di cose, possono fare in modo che un operaio riesca ad estrarre il petrolio al minimo costo possibile affinché noi potessimo ingrassare smisuratamente la nostra gente. L'occidente si è adoperato e si adopererà ancora affinché in questi paesi poveri l'ordinamento politico rimanga sempre con logiche medievali, con dittatori al potere in grado di far lavorare la gente a costi bassissimi con armi e con mezzi prodotti e venduti da noi.
Il ferro in cambio del loro petrolio, con la differenza che il petrolio non fora la pelle, il ferro si.